"Mia mamma morta da sola in un letto d'ospedale"

“Mia mamma morta da sola in un letto d’ospedale”

La storia di Adalgisa e di sua madre. La storia di un addio senza carezze.

PALERMOSi è fortunati anche nell’addio, quando puoi stringere la mano di chi se ne va. Altrimenti al dolore si aggiunge lo strazio. Il messaggio arriva a mezzanotte. Sono parole misurate che recano una grande pena: “Mia mamma si è spenta in un letto di ospedale, senza nessuno dei suoi familiari. Abbiamo potuto vederla per un solo minuto prima che venisse trasportata all’obitorio. Era una donna innamorata della sua famiglia, sempre presente con tutti noi. Nel momento più difficile della sua vita non ha avuto neppure una carezza da un familiare. Questo distacco è stato crudele per lei e per noi. Nessuno merita di morire così”. E ancora: “Per mia madre non si può più fare nulla. Ma bisogna impedire che altre persone provino lo strazio che abbiamo vissuto noi”. Le restrizioni causate dal Covid non hanno permesso l’ultimo abbraccio.

Queste sono le parole di Adalgisa la cui storia di figlia dolente e amorevole avevamo già raccontato. Lei, appunto, raccontava: “Mamma è stata ricoverata tredici giorni fa in terapia intensiva per un infarto e poi è stata scoperta una brutta polmonite, ma è negativa al Covid. Da tredici giorni non posso vederla. Premetto che il personale del Policlinico di Palermo è semplicemente meraviglioso. Ho incontrato persone gentili che danno sempre tutte le informazioni, molto solerti nella cura e nell’assistenza. Sono le regole imposte dalla pandemia, lo capisco. Ma è terribile. Mia madre ha ottantacinque anni. Non posso nemmeno sbirciarla da un vetro. Per fortuna lei sa utilizzare lo smartphone, ma il contatto diretto è un’altra cosa. Stiamo attraversando un incubo e non riusciamo a svegliarci”. C’era una fitta corrispondenza di chat, ma non basta, non può bastare.

Ora la storia si è compiuta nell’addio senza carezze: la peggiore perdita possibile. La mamma di Adalgisa, la signora Fortunata, ha lasciato questo mondo consapevole dell’amore di chi le è stato accanto, ma senza il conforto di un viso o delle mani, se non i medici e gli infermieri che, pur premurosissimi, non sono la tua famiglia.

Pino Apprendi che, generosamente, si era messo a disposizione, per sensibilizzare chi di dovere e porre il problema, ha scritto su Facebook: “Pochi giorni fa avevo scritto della figlia e della nipote di una donna di 85 anni ricoverata in cardiologia, che per fare sentire la loro presenza, stazionavano davanti l’ospedale. La donna è morta, anche lei sola, senza una carezza, un ultimo sguardo. È atroce. Bisogna pensare a visite controllate”.

Ed è una vicenda su cui dovremmo riflettere. Sono giorni pieni di rivendicazioni legittime sulle riaperture, sul coprifuoco, sulle cene e sull’estate. Ma farebbe bene alla nostra umanità occuparci anche del diritto al commiato che non si consuma più, della solitudine di una morte lontana che si rivela fisicamente ‘un minuto’, prima del trasporto all’obitorio. Davvero non è possibile, con tutte le precauzioni, consentire il rito dell’addio? Pensiamoci, fra tutte le cose inumane che stiamo vivendo, questa morte separata è forse la più inumana di tutte.


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