Crocetta affonda il Megafono | Era la sua creatura politica - Live Sicilia

Crocetta affonda il Megafono | Era la sua creatura politica

Al Comune di Catania, così come all'Ars, si scioglie il gruppo. Fallito il “partito” del presidente

L'epilogo del crocettismo
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PALERMO – È scomparso pure all’ombra dell’Elefante. Il Megafono di Crocetta è svanito, insieme alle promesse di una rivoluzione mai compiuta. Il gruppo consiliare a Catania, infatti, si è sciolto, con l’addio dell’ultima componente. Una liquefazione che si aggiunge a quella avvenuta pochi mesi fa all’Ars.

Era il simbolo della campagna elettorale del presidente, il megafono. Oggi rappresenta, anticipa un epilogo politico che del resto era già apparso evidente alle ultime elezioni comunali. Crocetta fa spallucce: “Il Megafono è tra la gente”, mentre i suoi luogotenenti assicurano: “Non abbiamo bisogno di consiglieri”. Anche se l’impressione è esattamente quella opposta: ossia che i consiglieri, i deputati regionali, i militanti non abbiano bisogno del Megafono.

Un fallimento evidente. Che eppure aveva consolidato un gruppo politico e di potere, nei primi anni di questa legislatura. Aveva, il Megafono, consentito ad esempio a Giuseppe Lumia di ripresentarsi da Senatore a Palazzo Madama, grazie a una posizione “blindata”. Adesso, la politica non c’è più. C’è solo, semmai, il potere. E così, il Megafono che doveva essere un movimento che desse voce “al popolo”, si è ristretto a qualche posizione comoda. Come quella di Mariella Lo Bello in giunta, di Massimo Finocchiaro alla guida dell’Ast o quella di Salvatore Parlato contemporaneamente nel cda Irfis e nella giunta di Enzo Bianco a Catania (a questo proposito, già in tanti si interrogano sull’opportunità di questo doppio incarico). Ovviamente, il consulente personale del presidente si guarda bene dal definirsi un esponente del Megafono. Ma il punto è proprio quello: non c’è più il movimento, c’è semmai solo il presidente e la sua residuale capacità di piazzare qualche amico e qualche fedelissimo. Nient’altro. Un po’ come accadde agli sgoccioli dell’esperienza del suo predecessore Raffaele Lombardo.

Ma l’Mpa, in quegli anni, godeva quantomeno di un consenso elettorale, in calo ma ancora solido. Al punto da portare a Sala d’Ercole diversi deputati, a partire proprio dal figlio di don Raffaele, Toti. Il Megafono spento, invece, è la dimostrazione vera della fine del “Crocetta politico”. Una conclusione ormai così ampiamente condivisa da andare oltre le opinioni degli osservatori: basti pensare ad esempio alle frasi “rubate” al sottosegretario Graziano Delrio, pochi giorni fa all’Assemblea annuale della Confederazione italiana armatori, a Roma. Delrio parla col presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, il tema è quello del referendum: “Crocetta? Ormai non sposta nemmeno i voti dei suoi” ha sentenziato il braccio destro di Matteo Renzi. Dichiarazioni che fanno il paio con i sondaggi che vedono il governatore gelese all’ultimo posto nella classifica del consenso tra tutti i presidenti di Regione.

E basterebbe anche annotare la presenza del simbolo alle ultime elezioni amministrative. Il Megafono è saltato fuori solo in due dei 29 comuni al voto. Un dato che fotografa meglio di altri la progressiva sparizione del Movimento del presidente. A maggior ragione, se si confronta questa immagine con le “foto” precedenti: nelle amministrative precedenti di due anni e mezzo fa, il Megafono era infatti presente in 28 Comuni dell’Isola, più di un terzo di quelli chiamati al voto. Il simbolo del movimento del presidente poteva essere rinvenuto in capoluoghi come Catania, Siracusa, Ragusa e Messina, ma anche in centri come Santa Domenica Vittoria, nel Messinese: poco più di mille abitanti. E ancora, era presente a Licata e Riesi, Belpasso e Gravina, Piazza Armerina e Taormina, Modica e Pantelleria, Castellammare del golfo e Giarre. Dopo due anni, appunto, sono rimasti Barrafranca e Giarre.

Svanito, nelle rappresentanze locali, così come era già avvenuto a Sala d’Ercole. E lì, la vicenda è esemplare ancora di più. Perché il gruppo che si è formato all’Ars sulla scia del “listino” del governatore, portava persino il riferimento al nome stesso del fondatore: “Lista Crocetta”. Un gruppo per mesi guidato dallo stesso presidente della Regione poi costretto dal “suo” partito, il Pd, a traslocare tra i dem, per mettere fine a una ambiguità che in tanti avevano segnalato a più riprese, insieme ai casi di elezioni in cui il Megafono, appunto, era sceso in campo contro il Pd. Il Megafono-Lista Crocetta passerà dapprima a un “ibrido” Megafono-Pse, fino ad abbondare del tutto ogni riferimento al governatore, e trasformandosi in un nuovo gruppo di socialisti. “Non facciamo più parte della maggioranza di Crocetta”, ha poi rincarato il capogruppo Giovanni Di Giacinto, eletto proprio col governatore. Un governatore che rilancia: “Il Megafono? Non contano i consigli comunali e l’Ars, il Megafono è tra la gente”. Ma la gente da tempo non se ne accorge nemmeno.


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