Crocetta e il Pd separati in casa | Raciti: "Serve la svolta" - Live Sicilia

Crocetta e il Pd separati in casa | Raciti: “Serve la svolta”

Confronto in assemblea fra il segretario regionale del Pd, Fausto Raciti, e il presidente della Regione, Rosario Crocetta. Le scintille non sono mancate. "Serve una svolta", dice il primo. "Già c'è stata", replica il governatore.

l'assemblea del partito
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PALERMO- La prima certezza: Mirello c’è. Caracolla tra i corridoi del San Paolo Palace, sede dell’assemblea regionale del Pd, con la delega che ciondola dal collo e la scritta: “Crisafulli Vladimiro”. E hai voglia di demonizzarlo, di aspergerlo con l’acqua santa, di esorcizzare il vecchio in nome del nuovo. Mirello c’è e sbuffa insieme a noi, nell’attesa che il grande rito dei democratici abbia inizio col solito enciclopedico ritardo. Seconda certezza: Rosario Crocetta e il Pd sono separati in casa. I discorsi ufficiali alludono a un rapporto armato di alleanza, composto di molteplici distinguo, di se e di ma. Nelle segrete cose, nelle voci dei pidini a taccuini spenti, l’insofferenza è palese. “Crocetta ormai è un chiummo per il partito”, espressione palermitana ed efficacissima per indicare il peso sullo stomaco che più lo tiri su, più ti manda giù. E ancora: “Ci sta massacrando. Noi non contiamo niente. Lui fa e disfa quello che vuole, non ascolta nessuno. E noi versiamo sangue. La gente ci chiede: ma com’è questa rivoluzione che manda i lavoratori sul lastrico? E noi che gli rispondiamo?”. Sono voci anonime, vere, colme di rudezza per l’inquilino di Palazzo d’Orleans che ha esaltato il masochismo democratico.

Da queste parti sono specialisti nel rodeo, nella cavalcata sul cavallo imbizzarrito che prima o poi disarciona. E soffrono di un atavico complesso d’inferiorità che precede la conquista. Il cronista ricorda quando Raffaele Lombardo piantò le sue bandiere nel cuore del centrosinistra in occasione di una festa dell’Unità – forse aveva già cambiato nome – nella cornice di Villa Giulia. L’uomo di Grammichele, successivamente caduto in disgrazia, azzardò un discorso del re che mandò in sollucchero il popolo della sconfitta. Parole di miele, di vittoria, di successi radiosi, di abbondanti saccheggi politici. E quella gente, un tempo amica di Berlinguer, si lasciò sedurre dal cinismo del conteggio e del consenso. Si vide appresso come finì.

Oggi il Pd schiera il suo segretario belligerante, quel Fausto Raciti che nell’eloquio somiglia un po’ a Claudio Fava – chissà se l’accostamento gli andrà e genio -, preciso, appassionato a freddo, con qualche caduta di tensione. Insomma, visto col binocolo, nel corso dell’assemblea, il legame con la rivoluzione crocettiana appare logoratissimo dalle chiacchiere sotto traccia e dagli interventi a stomaco aperto. Certo, è un’assemblea ‘tecnica’ per la proclamazione del numero uno regionale e per una serie di incarichi da stabilire col Cencelli delle correnti. Ma qui ogni riunione somiglia a una gigantesca seduta di autocoscienza, tra un Mirello che sbuffa e un Fabrizio (Ferrandelli) che sorride con condiscendenza ai molti che lo vezzeggiano e lo complimentano perché – si sa – sentono un deciso profumino assessoriale.

Raciti parla anche bene nel suo esordio. E’ netto nel raccontare che cosa sia stato il calderone democrat fino a oggi, in Sicilia. “Una fusione a freddo tra correnti – incalza il barbuto neo-comandante – un modo per regolare i conti, una nave in balia del vento, debole, un insieme di correnti, senza partito”. Prolusione interessante, però tutti aspettano l’affondo. Lo attende Crisafulli Vladimiro che cammina e passeggia. Così l’osservatore ha una visione plastica della vicenda del congresso. L’urgente nuovo che declama dal pulpito. Il necessario vecchio che si muove con l’ironia delle abbondantissime forme, tanto per ricordare che lui c’è. E conta. Alle 12.37, nell’omelia di Raciti, appare Crocetta. Preso un po’ alla lontana per la verità: “Quindici mesi fa, un uomo del Pd ha vinto le elezioni regionali”. Potenza dell’evocazione. Quattro minuti dopo, Rosario Crocetta si materializza. Prende posto in prima fila. Si siede. Ascolta.

L’intervento di Fausto assume presto i toni di una requisitoria: “Non basta invocare la lotta agli sprechi. Non possiamo accontentarci. Serve una svolta. La soluzione non è il rimpasto. Ci vuole un governo nuovo, con i partiti che garantiscano l’equilibrio. Occorre un nuovo patto che ci permetta di uscire dalla palude. E sulle ultime cose della Formazione dico (riferimento a Genovese e affini, ndr) che il problema è politico e riguarda un certo meccanismo clientelare di raccolta del consenso”. Ovazione finale. Crocetta mastica amaro. Fila via. Si ferma per dettare ai cronisti il suo malcontento. “Raciti arriva adesso e non si è accorto che il governo nuovo esiste già. Il Pd vorrebbe un governo lottizzato dai partiti, o lo vuole davvero nuovo? Tutte e due le idee non stanno insieme. Da parte mia nel novembre del 2012 ho evitato che venissero inseriti degli assessori protagonisti di inchieste. Ho salvato il partito”. Concetti densi di acuminata polemica che il presidente ripete, quando tocca a lui salire sul palco a parlare: “Non valuto penalmente Genovese, valuto politicamente un sistema. Il sistema dei padroni dei partiti che controllano tessere e congressi”, è l’esordio, tanto per gradire. Segue il canovaccio consueto: a Palazzo d’Orleans c’è un argine contro il malaffare, contro le clientele. Dalla Formazione, alle Asp, alle gare. Ovunque c’è il marcio da ripulire con la ramazza. E il titolare dell’impresa di pulizia è lui, Rosario Crocetta da Gela.

In platea, l’assessore Scilabra annuisce convinta. Niente di nuovo, per usare un termine abbondantemente ripetuto e idolatrato nell’occasione. Niente di drammatico. L’unico pathos cade sulla scena quando Giuseppe Lupo fa inavvertitamente lo sgambetto all’acerrimo nemico Cracolici che lo guarda famelico, pronto al corpo a corpo. Infine, decide che in fondo è stato un incidente. Non l’ha fatto apposta. Seduto sui gradini del Palace, Mirello sbuffa. E se la ride.

 


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