Cursoti Milanesi, si pente Angrì |Corso Indipendenza, paura nel clan - Live Sicilia

Cursoti Milanesi, si pente Angrì |Corso Indipendenza, paura nel clan

Il nuovo collaboratore di giustizia racconta i retroscena della guerra tra i clan che portò nel 2009 al tentato omicidio di Orazio Pardo, braccio destro del boss dei Cappello Giovanni Colombrita. (Foto di repertorio di un'operazione contro i Cursoti)

Francesco Di Stefano, vertice dei Cursoti Milanesi

CATANIA – Defezione tra le file del clan dei Cursoti Milanesi. La cosca è quella che controlla la piazza di spaccio di Corso Indipendenza. Ugo Rosario Angrì, detto “Saru a Tigre“, 37 anni, guardaspalle dei fratelli Di Stefano, reggenti del Clan, ha deciso di collaborare con la giustizia. Le sue prime dichiarazioni sono allegate alla richiesta di appello avanzata dalla Procura di Catania avverso alla sentenza emessa dal Gup Laura Benanti che a giugno aveva assolto Cristian Nicola Parisi dall’accusa del tentato omicidio di Orazio Pardo. Nello stesso procedimento sono stati  condannati proprio il neo collaboratore di giustizia Ugo Angrì a 10 anni di carcere e Francesco Di Stefano (detto “Ciccio pasta ca sassa”), ritenuto il reggente del clan, a 12 anni di pena. La Procura chiede l’apertura del dibattimento in appello, con l’acquisizione di tutto l’impianto probatorio del primo grado da “completare” con l’esame del nuovo collaboratore di giustizia Angrì. Le dichiarazioni del coimputato infatti – è scritto nella richiesta d’appello – possono “agevolmente colmare” la mancanza di riscontri che hanno portato all’assoluzione di Parisi, anche se “con formula dubitativa”.

Nicola Christian Parisi, assolto per non aver commesso il fatto

Il Gup della sentenza motivava l’assoluzione di Parisi in quanto non erano stati trovati “riscontri individualizzanti alle dichiarazioni rese da Michele Musumeci”, uno dei componenti del gruppo di fuoco dell’agguato a Orazio Pardo, uomo di fiducia di Giovanni Colombrita, capomafia dei Cappello e vero bersaglio dei Cursoti Milanesi. Solo per un caso – come racconta Musumeci – Colombrita si salvò. Il boss non scese da casa quella sera del primo ottobre del 2009 e proprio mentre i killer avevano deciso di far fallire il piano criminale, ecco che videro arrivare Orazio Pardo con la sua smart. Una pioggia di pallottole perforò la citycar, ma Orazio Pardo si salvò, forse perché “indossava il giubbotto antiproiettile” e anche perché alle pistole si contrappose con il motorino l’altra vittima dell’agguato, Salvatore Liotta.

A ordinare la morte del “capo dei Cappello” sarebbe stato Francesco Di Stefano: il boss dei Cursoti avrebbe voluto assicurarsi il pieno controllo dello spaccio di droga di corso Indipendenza e, inoltre, avrebbe voluto “zittire” chi si era permesso di “mettere bocca” nei suoi affari, e precisamente nell’estorsione di un imprenditore edile.

Ugo Angrì, che prima della sentenza di condanna, aveva sempre respinto le accuse ha deciso di vuotare il sacco e punta l’indice direttamente su “Cristian Nicola Parisi” come uno dei partecipanti all’agguato ad Orazio Pardo. Il guardaspalle dei boss dei Cursoti ha ammesso di aver partecipato al tentato omicidio e ha fatto nomi e cognomi di chi era insieme a lui quella sera. E ci sarebbe stato anche Parisi, appunto. Il piano criminale di Francesco Di Stefano –  come ha confermato Angrì – sarebbe partito proprio da quell’estorsione ad un imprenditore edile che aveva chiesto “protezione” a Colombrita. All’orecchio dei Cursoti sarebbe arrivato l’invito a lasciar perdere, perché quell’impresa era entrata sotto il controllo del boss dei Cappello, una richiesta che avrebbe provocato l’ira del capo dei “Milanesi” che ha ordinato – a dire del collaboratore –  anche una spedizione punitiva per il titolare dell’azienda edile. Angrì è preciso: “Io ho preso parte direttamente all’estorsione ed in particolare al pestaggio dell’imprenditore su incarico di Francesco Di Stefano”.

Droga, estorsioni e sangue. Dietro il tentato omicidio di Orazio Pardo si nascondono agghiaccianti retroscena che fanno emergere il profilo e lo spessore criminale di Francesco Di Stefano, capo e killer senza scrupoli. Pronto a prendere in mano lui stesso la pistola ed eliminare le “pedine scomode”. Un esempio, se le ricostruzioni della Procura saranno confermate, l’omicidio di Daniele Paratore: un giovane pusher che non aveva rispettato gli accordi con Di Stefano.

Orazio Pardo rimase ferito ma si fece curare di nascosto, una scelta quella di non andare in ospedale dettata dall’obiettivo di non fare alzare le antenne alle forze dell’ordine. Il clan Cappello Bonaccorsi comunque corre ai ripari e per evitare altro spargimento di sangue – a detta di Angrì – avrebbe convocato un summit, una sorta di incontro risolutore. “Dopo il ferimento di Orazio Pardo – racconta il nuovo collaboratore di giustizia – c’è stata una riunione tra i Cappello per conto dei quali erano presenti Gaetano D’Aquino e Franco Iattaredda (Finocchiaro) oltre che Turi Malavita e Michele o Cardunaro, mentre per il nostro gruppo erano presenti i due fratelli Di Stefano e Michele Musumeci, oltre a me – conclude Angrì – che con Cristian Parisi siamo rimasti in disparte”.


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