Di Giacomo svela i segreti della faida |Risolti delitti degli anni '80 e '90 - Live Sicilia

Di Giacomo svela i segreti della faida |Risolti delitti degli anni ’80 e ’90

di Laura Distefano Alfio Laudani e Camillo Fichera, storici vertici della cosca dei Laudani, sono i destinatari di un proveddimento emesso dal Gip ed eseguito dai carabinieri con l'accusa di omicidio. Chiave dell'inchiesta le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Pippo Di Giacomo. PARTICOLARI E RESTROSCENA DEGLI OMICIDI

 

CATANIA – Svelati mandanti ed esecutori di cinque delitti irrisolti: volti e nomi di feroci killer del Clan Laudani. Gli omicidi di mafia risalgono agli anni ’80 e ’90, periodo di una sanguinaria guerra tra le cosche etnee, e i “Mussi i furinia ” ammazzavano, senza scrupoli. Notificato in carcere dai carabinieri il provvedimento emesso dal Gip Laura Benanti di misura cautelare in carcere, con l’accusa di omicidio, a Alfio Laudani e Camillo Fichera.

Nella foto i due destinatari del provvedimento del Gip

Regolamenti di conti, vendette, rappresaglie, ma anche colpi di testa del Clan Laudani ci sarebbero dietro ad alcuni degli assassinii consumati tra il 1984 e il 1993. L’indagine condotta da Pasquale Pacifico, sostituto procuratore della Dda di Catania, guidata dal procuratore Giovanni Salvi, ha portato alla soluzione del delitto di Alfio Gambero, ucciso a Pedara nel 1984, di Salvatore Gritti, freddato nel suo garage a Carlentini nella primavera del 1991, di Giovanni Piacente morto sotto i colpi di fucile davanti al casello autostradale di Giarre nel ’93, ed infine di due duplici omicidi, quelli di Domenico Peluso e Camillo Caruso ritrovati nel 1993 a San Giorgio nel bagaglio di una fiat Punto e dell’avvocato Salvatore Di Mauro e del suo segretario Francesco Borzì, ammazzati nello studio del legale nello stesso anno.

E’ il collaboratore di giustizia Giuseppe Di Giacomo, reggente del Clan Laudani e mandante dell’omicidio dell’avvocato Serafino Famà, a dare la svolta all’inchiesta. Le sue dichiarazioni imprimono veridicità alle parole di altri collaboratori, come Alfio Giuffrida, che nel 1997 aveva già raccontato particolari importanti dei cinque fatti di sangue. Scenari che hanno trovato riscontro anche nelle attività investigative svolte da carabinieri e polizia immediatamente dopo i delitti. Omicidi che nell’esecuzione e nella dinamica rispecchiano la ferocia e l’efferatezza dei vertici del Clan Laudani, organizzazione azzerata e decapitata grazie all’operazione della Dda Fichi d’India.

Gambero, ucciso a Pedara, era “un cane sciolto” che aiutava in parte il Clan ma intascava “pizzo” senza autorizzazione. A sparare – secondo gli investigatori – sono stati Alfio Laudani, insieme a Di Giacomo e Giuffrida (per i due non é stata chiesta la misura in quanto collaboratori di giustizia). I tre sono indagati anche per il delitto di Giovanni Piacente, dei Ceusi di Picanello, presunta vittima della cruenta faida tra i due clan. Per questo caso il pm avevo chiesto la misura, però respinta dal Gip, anche per un altro soggetto. Mimmo Peluso e Melo “codda fradicia” Caruso finiscono nel portabagagli di un’auto davanti alla casa di Buda, vertice dei Tigna, dopo essere stati uccisi freddamente da Di Giacomo nel corso di una riunione, a cui parteciparono anche Giuffrida e Fichera, in una cascina di campagna per avere chiarimenti in merito all’uccisione del boss Gaetano Laudani. Il collaboratore di giustizia sarebbe anche uno dei sicari del sorvegliato speciale Salvatore Gritti, affiliato ai “Tigna”, che avrebbe pagato il rifiuto a Gaetano Laudani di aiutarli a vendicare l’uccisione del fratello. E sarebbe stato sempre Di Giacomo a far parte del gruppo armato che ha ammazzato l’avvocato Di Mauro e il segretario Borzì: il penalista era nipote di Giuseppe Di Mauro, nonché stratega del Clan Puntina, famiglia in guerra in quel periodo con i “Mussi i ficurinia”.

Una scia di sangue che tra il 1997 e il 1998 è stata interrotta. Nel raccontare dell’omicidio del penalista Di Mauro il collaboratore di giustizia precisa che dopo non vi furono altri conflitti con i gruppi rivali in quanto, per sua stessa volontà, fu siglata una pax tra mafiosi. Di Giacomo mentre si trova in regime di 41bis a Cuneo si sarebbe incontrato con Ignazio Bonaccorso “u carateddu”, pace fatta con la benedizione di Salvatore Cappello che contemporaneamente si era stretto la mano con “u zu Iano”, cioè Sebastiano Laudani. Il patriarca della famiglia Laudani era detenuto al carcere di Secondigliano. Un patto, siglato anche da Turi Pillera, Gimmy Miano e u zù Ciuzzu Mangion, che determinerà gli equilibri della criminalità organizzata catanese alla vigilia del nuovo secolo.

 


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