L'assoluzione di Calogero Mannino| Il pm Di Matteo: "Impugneremo" - Live Sicilia

L’assoluzione di Calogero Mannino| Il pm Di Matteo: “Impugneremo”

Il pm Antonino Di Matteo

Il magistrato di Palermo dice no al trasferimento e tira dritto per la sua strada.

PALERMO – “Impugneremo”, dice con fermezza il pm Antonino Di Matteo concludendo l’intervista per il Tg2. Ci sarà, come era prevedibile, un processo d’appello per Calogero Mannino, assolto in primo grado nello stralcio sulla trattativa Stato-mafia di cui l’ex ministro democristiano sarebbe stato l’iniziatore. Temeva per la propria vita e si sarebbe rivolto ai carabinieri affinché fermassero le bombe.

Chissà se Di Matteo si è già confrontato con il capo dell’ufficio, il procuratore Francesco Lo Voi. Per la verità, codici alla mano, non è necessario che lo faccia. Il pubblico ministero ha piena autonomia di azione. E la eserciterà. La motivazione del Giudice Marina Petruzzella che ha scagionato Mannino e criticato l’intero impianto accusatorio della Procura, secondo Di Matteo, presenta delle contraddizioni che aprono, a suo dire, la prospettiva di un risultato diverso.

Per sapere quali siano i punti contraddittori bisognerà aspettare i motivi di appello. I pm hanno 45 giorni di tempo per impugnare l’assoluzione. Allo scadere sapremo se l’ufficio sarà compatto nella scelta. Questioni di forma, seppure importanti, ma non di sostanza. L’”impugneremo” annunciato da Di Metto fa il paio, d’altra parte, con il primo commento a caldo che rilasciò dopo l’assoluzione di Mannino assieme all’aggiunto Vittorio Teresi e agli altri sostituti Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia e Vittorio Teresi. Di Matteo è l’anima e la mente storica dell’inchiesta e del processo. Senza nulla togliere al lavoro degli altri pm la sua parola ha un peso specifico maggiore nell’intera vicenda. L’identificazione fra Di Matteo e il processo è un dato di fatto. Da anni il pubblico ministero non fa più parte del pool antimafia, il suo incarico è scaduto, ma è rimasto applicato alle indagini e al processo sulla trattativa.

L’annuncio del ricorso in appello è arrivato ieri, nel giorno in cui Di Matteo ha rifiutato la proposta del Csm di lasciare Palermo per motivi di sicurezza. Ormai è super scortato dal 2013, da quando Totò Riina disse durante l’ora d’aria in carcere che voleva fargli fare “la fine del tonno”. Poi, arrivarono le dichiarazioni di un pentito sull’arrivo in città del tritolo, mai trovato, per ucciderlo. Infine, l’intercettazione di un mafioso che suggeriva alla moglie di tenere il figlio alla larga da un luogo frequentato dal magistrato perché “lo devono ammazzare”.

“Non sono disponibile al trasferimento d’ufficio – ha detto il magistrato -. Accettare un trasferimento con una procedura straordinaria connessa solo a ragioni di sicurezza costituirebbe a mio avviso un segnale di resa personale ed istituzionale che non intendo dare”.

Di Matteo alla Direzione nazionale antimafia vuole entrarci dalla porta principale e senza la scorciatoia del rischio attentato. Ha fatto domanda e nei prossimi mesi si saprà se avrà vinto uno dei cinque posti banditi. Un no prevedibile per un magistrato che non ha mai mostrato segni di cedimento o di paura. Un no che probabilmente va letto anche in chiave futura. Se avesse accettato il trasferimento per il rischio attentato sarebbe stato forse complicato che gli venisse concessa l’applicazione al processo in corso davanti alla Corte d’assise.


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