CALTANISSETTA – “Nei primi interrogatori abbiamo ritenuto che le dichiarazioni di Scarantino fossero genuine. Solo dopo abbiamo intuito che fossero inquinate”, è uno dei passaggi della deposizione del pm Antonino Di Matteo ieri al processo “Borsellino quater” in corso davanti alla Corte d’assise di Caltanissetta. Di Matteo, oggi a Palermo, fu uno dei pubblici ministeri che raccolse le dichiarazioni del falso pentito che portarono alla condanna di alcuni imputati scagionati dopo un decennio di carcere.
Gli avvocati Rosalba Di Gregorio e Giuseppe Scozzola hanno incalzato il pm. I legali hanno fatto polemicamente notare che tutti i pubblici ministeri di allora, compreso il giovane sostituto Di Matteo, credettero fino alla fine alle dichiarazioni di Scarantino, tanto da chiedere alcune condanne all’ergastolo, non accolte dalla Corte d’assise. Dunque, i dubbi sulle patacche di Scarantino emersero solo dopo la requisitoria e nonostante gli avvocati delle difese, che oggi lo ribadiscono, già allora avevano messo tutti in guardia.
Di Matteo ha poi tirato in ballo i cosiddetti mandanti esterni: “Secondo me durante le indagini sono emersi molti elementi per ritenere che vi siano altri coinvolgimenti. Non soffermiamoci solo sul depistaggio messo in atto da Scarantino”.