Il diabete non fa paura | Se c'è il sorriso - Live Sicilia

Il diabete non fa paura | Se c’è il sorriso

Uno dei disegni dei bambini

C'è una malattia che fa paura. Ma ci sono anche segni di speranza. Ecco quali.

Non sopportiamo la sofferenza dei bambini. Quando il dolore colpisce l’innocenza, ci sembra di subire un tradimento doppio. Non c’è solo la ferita dell’anima e del corpo, c’è anche l’invasione della bestia oltre i confini di un giardino fiorito, che vorremmo sempre immune e libero dal male. Per fortuna, i bambini sono molto più saggi e coraggiosi di noi. Hanno letto meno libri, però la lezione fondamentale la conoscono e la conservano in quella parte bambina che noi abbiamo smarrito e che aiuta a riconoscere le cose importanti, al gusto. Il dolore fa parte della vita. Insieme alla gioia, è esso stesso la vita. Se la saggezza dei bambini incontra la generosità dei grandi, si possono raccontare storie bellissime, perfino nella Sicilia disperata, che in fondo ci piace tanto, perché fornisce freschissimi capitoli alla teoria della sua non redimibilità e ai nostri alibi.

Per esempio, basta andare a Terrasini, nel resort Città del mare, a venti minuti da Palermo, per scoprire che adulti e piccoli hanno siglato una fruttuosa alleanza contro il diabete. I primi ci mettono disponibilità, conoscenza e abnegazione. I secondi portano ciò che sono. Un concentrato di meraviglie. Qui, ogni anno, si organizza un campo scuola di cinque giorni che è il culmine di una operosa attività. Ci sono bimbi e genitori che convivono con una diagnosi pesante. Qualcuno ha detto, una volta: “Suo figlio ha il diabete”. Da allora, come per ogni malattia, per ogni bestia seminata nel giardino fiorito, è scattata la trappola dell’angoscia e della rabbia. Ognuno fa del suo meglio per non cedere. I bambini corrono, giocano, disegnano su cartelloni e fogli da appendere, per consegnare alle cronache minime del soggiorno un puntuale diario di bordo. Gli sfregi della preoccupazione e della consapevolezza sono visibili tra i lineamenti di papà e mamma, insieme alla disponibilità e alla scommessa di chi non vuole farsi sopraffare.

Su tutti veglia Vincenzo Provenzano, primario di Diabetologia a Partinico. ‘Il dottor Enzo’ – così lo chiamano – è l’artefice di una battaglia difficile, con tanti preziosi segmenti ad incastro. Si spiega subito: “E’ semplice fare il medico in corsia, col camice bianco e il resto. Più complicato essere medici in mezzo alla gente, nel territorio, nella quotidianità, guardare gli altri negli occhi”. E’ un discorso diretto con numerose e benefiche implicazioni. Dentro, c’è una certa idea del rapporto umano tra medico e paziente che non si fermi alla correlazione sintomo-terapia, per cui ciò che serve a un ‘camice bianco’ è una cura, associata a un modulo da riempire, altrimenti non rimane che allargare la braccia. C’è una visione della sanità imperniata sulla prevenzione. C’è soprattutto un meccanismo di condivisione delle esperienze: “Il diabete – continua Provenzano – non fa paura, se si affronta con un percorso culturale di crescita. Lo sbocco è la possibilità di condurre un’esistenza serena, con lo sport, col movimento, con la gioia, senza farsi mancare nulla. Ogni bambino qui è al centro di un progetto che lo rende più forte”.

Il “percorso” che dura da anni nell’ospedale di Partinico si condensa nelle cinque giornate di Terrasini. Si insegna come regolamentare orari, scelte e azioni. Quali sono le norme alimentari di base. Quali i comportamenti da seguire in caso di emergenza. Qual è l’approccio complessivo più utile dal punto di vista medico e psicologico. “Un bambino con il diabete – insiste ‘il dottor Enzo’ – è una fortuna per i compagni di scuola. Perché è il portatore di uno stile sano e corretto che fa bene a tutti”. Si insegna specialmente a debellare il terrore della diversità che la malattia porta con sé. “Ci si sente esclusi in un ghetto, non raggiungibili, condannati senza colpa e senza motivo. Abbiamo scelto la lotta”, sussurra un papà. Ed è un diagramma preciso di ciò che accade davvero. La diagnosi come una mazzata. Il senso di impotenza, aggravato dalla previsione di un futuro impossibile da gestire. L’isolamento con cui ci si auto-esclude per nascondere il dolore in un luogo non riconoscibile, né comunicabile, con l’illusione di tenerlo nel buio di uno stanzino segreto, affinché faccia meno male.

Qui, tra Partinico e Terrasini, si pratica invece un esorcismo buono. Nessun bambino diabetico è un condannato a vita. Nessuna sofferenza deve essere apparentemente chiusa in un recinto personale. Non c’è nulla che non possa essere condiviso e risolto. Lo dicono le parole dei grandi, nella giornata finale del campo scuola, nella cerimonia affettuosa e familiare dei saluti. Lo dice il direttore generale dell’Asp, Antonio Candela – un altro con la ‘fissazione’ della medicina in mezzo alla gente – che invita i presenti sulle tribune del ‘Barbera’ per Palermo-Juventus, un regalo che è un segno di ascolto e attenzione. Lo dice il diario di bordo per immagini e parole scritte. Lo dicono i disegni dei bambini appesi alla pareti nella sala del commiato.

Tra sbuffi di matite e di colori, il dolore si coglie ancora nelle sue orme, nello sfregio che ha depositato all’inizio della storia. Ma sulla bestia prevale la speranza accompagnata dal sorriso. Con la saggezza di chi ha compreso che questo passaggio sarà comunque luminoso, perché è già così. Ci sono soli splendenti e faccine buffe nelle mani dei bambini che hanno stampato i loro sogni sulla carta. Ritrovarli offre qualcosa di dolce e di profondo. Ci consegna la promessa di non smarrirli mai più.


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