Ho conosciuto Daniele Discrede in un tempo che ancora non apparteneva al sangue. Così provo un brivido surreale nel leggere il testo della sua autopsia.
“Relazione di consulenza medico legale concernente il decesso di Discrede Daniele. Scheda di bordo esercizio 118 del 24.5.2014. Inizio intervento h 21.59 – arrivo 22.07 (…). Luogo intervento: via Roccazzo. Lesioni riscontrate: soggetto con due fori di entrata da arma da fuoco in addome e uno al braccio sx. Cianotico, agitato. Durante il trasporto bradicardia. Al monitor progressivo rallentamento del ritmo sino alla asistolia. Ospedale di destinazione: Civico”.
Ho conosciuto Daniele in giorni verdi di partite di calcetto e cieli ventilati. Quando si giocava anche tre volte di seguito. E si portava la borsa dello sport al campo senza prenotazione. C’era sempre qualcuno che cercava l’ultimo uomo. Giorni di ragazze, canzoni e risate a piena gola. Io paravo, lui era un attaccante. La relazione era scontata: lui tirava, io mi tuffavo. Gol. Daniele Discrede ti fregava sempre con la stessa finta. Segnava e veniva a darti la mano alla fine. Era un avversario leale.
“Paziente giunto in arresto cardiaco. (…) constatazione decesso ore 22.43”.
Conosco soprattutto Vito, fratello di Daniele. Un ragazzo coraggioso che sopporta un peso immane: non sapere chi gli ha ammazzato il fratello e continuare a chiedere giustizia un anno dopo, nella città dell’indifferenza. A cadavere caldo, Palermo ribollì di sdegno e di rabbia per la storia di un commerciante assassinato davanti agli occhi della figlia, per una rapina finita nel peggiore dei modi. Quel fuoco civile era vigoroso, ma di poca sostanza. Vito Discrede condivide il suo coraggio con i genitori e con le sorelle. Ha scritto una lettera al Presidente della Repubblica, il palermitano Sergio Mattarella. Al momento non si registra risposta alcuna. La madre ha lanciato un appello: “Se qualcuno sa quello che è successo, se qualcuno conosce la verità è arrivato il momento di raccontarla. Vi prego, vi scongiuro. Anche in forma anonima, anche con un sms, con una lettera. Ci sono due bambine, pensate alle due bambine”. Al momento non si registra risposta alcuna.
“Descrizione degli indumenti contenuti in un sacco di plastica nero – si legge nell’esame medico-legale –. Camicia in cotone a righe di colore blu e verde, maglietta Lacoste di colore verde. Sia la camicia che la maglietta sono tagliate in due parti e la metà sinistra si presenta imbrattata di materiale ematico. Pantalone jeans di colore grigio, mocassini di colore beige. Gli ufficiali di Pg riferiscono che la maglietta polo verde era indossata al di sotto della camicia (…) Si dà atto che in sede di autopsia sono stati rivenuti n. tre agenti balistici (proiettili) all’interno della struttura corporea che sono stati repertati e consegnati al personale della polizia scientifica presente alle operazioni autoptiche”.
Ogni tanto, Vito viene a prendersi un caffè al giornale. Io lo guardo. Osservo i suoi occhi dilatati dal dolore e resto in silenzio. Vorrei offrirgli parole di consolazione; non è umanamente possibile. L’altra volta, dopo il caffè, ha detto: “Stiamo organizzando una manifestazione per il 24 maggio, un anno dopo l’uccisione di Daniele. Vorremmo che fosse un po’ come era lui: qualcosa di bello. E vorremmo gridare quello che sentiamo dentro: non è possibile che Palermo resti indifferente, che dopo dodici mesi la vicenda di mio fratello non interessi più a nessuno. Ma che siamo diventati? Davvero accettiamo passivamente che un padre di famiglia possa essere ammazzato come un cane e che non si sappia ancora nulla? Davvero, noi palermitani, non riusciamo più nemmeno a chiedere la verità”. Vito parlava a bassa voce, però i suoi occhi gridavano.
“Sulla base degli attuali accertamenti medico-legali si può affermare che il decesso del signor Discrede Daniele sia addebitabile ad arresto cardiocircolatorio secondario a lesioni toraco-addominali determinate da colpi d’arma da fuoco a canna corta”. Fine dell’autopsia.
Ho conosciuto Daniele Discrede in giorni verdi di cieli, di ragazze, di palloni, di sorrisi e di gol. Per questo (e non solo per questo) nel rileggere i verbali della sua tragedia provo rabbia e pena. Provo pena per i familiari di un morto che non ha ricevuto giustizia. Provo rabbia per certi vivi che fanno finta di niente.