Dubbi, misteri e la 'pista nera'| Il delitto Mattarella 36 anni dopo - Live Sicilia

Dubbi, misteri e la ‘pista nera’| Il delitto Mattarella 36 anni dopo

L'omicidio di Piersanti Mattarella

Il caso dell'omicidio dell'ex presidente, fratello del capo dello Stato, potrebbe essere riaperto.

PALERMO – I primi ad andarci cauti sarebbero gli stessi magistrati. Ogni qualvolta si parla di riaprire un’indagine si tratta di ammettere che gli accertamenti finora svolti, nella migliore delle ipotesi, siano stati quanto meno deficitari.

L’ultimo caso è quello rilanciato stamani dalle colonne di Repubblica. A distanza di oltre 36 anni dall’omicidio del presidente della Regione Piersanti Mattarella, i magistrati sarebbero pronti a riaprire l’inchiesta seguendo la pista nera che porta all’estremismo di destra e ai “centri di potere occulti”. In realtà pare che la discussione sulla riapertura delle indagini risalga a più di un anno fa. Al Palazzo di giustizia di Palermo se ne cominciò a parlare quando la poltrona di capo della Procura era ancora vacante e se ne discute pure oggi che alla guida dei pm è arrivato Francesco Lo Voi. Che dichiara, come riporta Repubblica: “Se dovessero emergere spunti utili ovviamente li prenderemmo in considerazione, sia che essi confermino le conclusioni già raggiunte dal processo, sia che essi dovessero condurre eventualmente a conclusioni diverse”.

Altro non sarebbe che un atteggiamento di prudenza per smarcarsi dall’eventuale e inevitabile clamore mediatico sull’inchiesta. Tentativo vano. L’inchiesta di per sé non può sfuggire ai riflettori trattandosi di un cosiddetto “delitto eccellente”. Figuriamoci ora che Sergio Mattarella, fratello della vittima, è divenuto capo dello Stato.

A consigliare prudenza sarebbe pure il contenitore stesso delle indagini e cioè il paludoso mondo del terrorismo nero, dei sistemi criminali, dei servizi segreti e deviati. Un mondo che, in alcuni casi, ha finito per essere un paravento. Laddove finiscono le prove certe, inizia il mare magnum dei misteri dove le inchieste diventano eterne. Eterne e scandite da richieste di archiviazione che vengono respinte, proroghe di indagini, dietrofront e imputazioni coatte.

L’omicidio dell’ex presidente della Regione, il 6 gennaio 1980, è un caso irrisolto o parzialmente risolto (dipende dai punti di vista). Sono stati condannati i mandanti, i boss della Cupola di Cosa nostra, ma resta poco nitido il movente e oscuro il nome del killer e di chi gli prestò assistenza il giorno dell’agguato in via Libertà.

Da un anno a questa parte i pm di Palermo stanno facendo un’analisi di insieme che colloca il delitto in un quadro complessivo di cui fanno parte anche l’omicidio del segretario provinciale della Dc, Michele Reina, e il fallito attentato all’Addaura ai danni di Giovanni Falcone. Fu proprio Falcone per primo a fiutare la pista del terrorismo nero. Una pista che avrebbe portato all’incriminazione di Valerio Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini, come autori materiali dell’omicidio del presidente della Regione, ma poi scagionati per via anche dei racconti confusi e contraddittori dei pentiti. Non solo pentiti mafiosi, visto che c’era anche il fratello di Fioravanti, Cristiano, che poi, però, ritrattò. E così non bastarono le testimonianze delle vedove di Riina e Mattarella, Marina Pipitone e Irma Chiazzese per arrivare alla condanna. Un lavoro di analisi dei documenti investigativi sta coinvolgendo anche la famiglia Mattarella che si è affidata all’avvocato Francesco Crescimanno. A lui il compito di “mettere insieme tutta una serie di elementi” per portarli in Procura e cercare di fare riaprire il caso.

Non sarebbe l’unico. C’è una stagione di inchieste riaperte: dall’omicidio di Peppino Impastato a quello dell’agente Antonino Agostino, dal suicidio del maresciallo Lombardo alla Trattativa (mentre si celebra il processo si lavora al misterioso connubio di interessi fra la Falange armata e i servizi segreti). L’esigenza di raggiungere la verità, la volontà di dare una risposta a chi vive il dolore per la perdita di una persona cara e l’angoscia per una giustizia mancata, l’esigenza di rimediare a inefficienze del passato si scontra, però, con l’inesorabile trascorre e del tempo che rende tutto più complicato. Ecco allora la prudenza dei pm di oggi per evitare che, al termine della nuova tornata investigativa, resti solo il ricordo dei riflettori mediatici. Come quelli che si accesero in un cimitero della provincia palermitana dove l’allora pm Antonio Ingroia diede l’ordine di riesumare il cadavere di Salvatore Giuliano. Decine e decine di telecamere si contesero ogni centimetro quadrato del camposanto di Montelepre per assistere allo spettacolo. Erano o meno del bandito i resti nella tomba? Sì, lo erano. E l’inchiesta fu archiviata.

 

 


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