Duplice omicidio Bontà-Vela: "Adele Velardo merita l'ergastolo"

Omicidio Bontà-Vela: “Adele Velardo merita l’ergastolo”

In primo grado è stata assolta per il delitto di via Falsomiele. Sarebbe stato solo il marito suicida

La Procura generale chiede l’ergastolo per Adele Velardo, assolta in primo grado per il duplice omicidio di Vincenzo Bontà e Giuseppe Vela, avvenuto nel marzo 2016 in via Falsomiele, a Palermo.

I giudici della Corte di assise in primo grado hanno ritenuto che sia stato solo il marito, Carlo Gregoli, a fare fuoco, mentre le prove della colpevolezza della moglie sono state ritenute insufficienti. La donna avrebbe assistito al delitto assumendo un “mero comportamento passivo”. (Leggi le motivazioni dell’assoluzione di primo grado)

Secondo la procura generale e i legali dei familiari delle vittime, gli avvocati Ennio Tinaglia, Giovanni La Bua, Matteo La Barbera, Salvatore Ferrante e Vanila Amoroso, la donna, invece, merita la massima pena.

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Dopo il suicidio del marito Velardo (leggi l’intervista dopo l’assoluzione) è rimasta l’unica imputata e per lei anche in primo grado era stato richiesto l’ergastolo. Sono tanti i punti che non convincono accusa e parti civili. Primo fra tutti l’alibi della donna, la quale disse di essere uscita di casa per andare in farmacia assieme al marito che si era sentito male. “Risulta invero del tutto inverosimile ed illogico che l’imputata a fronte del malore accusato – si leggeva nell’atto di appello – non soltanto non abbia contattato il medico curante, ma non si sia neppure rivolta alla figlia richiedendole di effettuarle una misurazione della pressione ovvero di accompagnarla dal medico o al più in farmacia”.

Ed ancora, la figlia ha raccontato di “un pranzo familiare assolutamente ordinario e sereno, nel corso del quale, dunque, la madre (oltre a non fare cenno al delitto) non ha riferito di avere accusato alcun malore né ha richiesto alla figlia di misurarle la pressione”.

E qui ci sarebbe una contraddizione insanabile: “Delle due l’una: o Velardo, come affermato dalla Corte si era trovata ‘imprevedibilmente ad assistere’ all’azione commessa dal marito ‘rimanendo con ciò sbigottita, attonita…’, ma in tal caso la figlia ha riferito il falso, giacché durante il pranzo, secondo i canoni della credibilità razionale, giammai l’imputata avrebbe potuto mantenere un contegno manifestamente ordinario con il resto della famiglia, ovvero Velardo è effettivamente riuscita a simulare dinanzi ai figli un comportamento ‘ordinario’, ma ciò, tenuto conto di quanto era poco prima avvenuto, deve essere correttamente apprezzato quale indice di una lucidità che non può trovare altra logica spiegazione se non quella di una ponderata partecipazione al piano criminoso”.

Secondo l’accusa, l’esigenza di recarsi in farmacia era solo un alibi che “risulta del tutto privo di una logica spiegazione alternativa alla deliberata intenzione di andare incontro (armati) alla ricerca delle vittime”.

Altro punto contestato è quello relativo al movimento della donna, immortalata da una telecamera, mentre prendeva o posava qualcosa sotto il sedile. Secondo la Procura generale, si trattava della pistola usata per il duplice omicidio. Velardo disse che “durante la manovra di retromarcia ricordo solo ora che ad un certo punto mi sono abbassata per cercare qualcosa dentro la mia borsa”.

La conclusione era simile alla precedente: “Delle due l’una: o l’imputata era attonita e sbigottita ed allora a tutto avrebbe potuto pensare tranne che a piegarsi per ‘prendere o posare qualcosa sotto il proprio sedile’, oppure ella, in quanto pienamente compartecipe del piano delittuoso del marito, ha da questi preso in carico la pistola, curandosi, con lucidità di riporla dentro il cruscotto”.

Infine, c’è il passaggio sulle particelle di polvere da sparo – 300 – rinvenute sul cruscotto e sulla maniglia destra dell’auto che, contesta l’accusa, erano “circa 4 volte superiori a quelle rinvenute sugli abiti dei coniugi e depongono, se non per un contatto diretto dell’arma con dette superiori parti del veicolo, quantomeno con un loro estremo ravvicinamento cui non può che avere provveduto il passeggero, ossia Velardo”.

Adesso ci saranno le arringhe dei difensori, gli avvocati Marco Clementi e Paolo Grillo. Poi la sentenza del collegio presieduto da Mario Fontana.


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