E se il garantismo fosse come la fede? - Live Sicilia

E se il garantismo fosse come la fede?

Il solito copione che si ripete per un avvocato.
MANOVRA A TINAGLIA
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2 min di lettura

E’ un copione che si ripete ormai da anni. Ogni volta che si verifica un fatto particolarmente odioso, come l’omicidio di Willy, ricevo telefonate di amici e conoscenti. Cosa vogliono? Ve la faccio breve. Mi chiedono conto e ragione degli sviluppi legali e processuali che inevitabilmente seguiranno, e se non sarebbe il caso, anche a mio avviso, data la particolare atrocità della vicenda, di evitare tutta quella “tiritera” (interrogatori di garanzia, udienze, processo, riti alternativi, appelli, permessi premio) in cui gli avvocati (eccomi) hanno un loro indiscusso ruolo.

Il tutto, naturalmente, accompagnato da immancabili richiami alla pena di morte o, almeno, ad una esemplare, possibilmente definitiva, pena detentiva con correlativa buttata di chiavi. Io, inizialmente, provavo ad argomentare richiamandomi ai consueti principi che tutti conosciamo, tipo presunzione di innocenza, Stato di diritto, diritto ad un processo, funzione rieducativa della pena e quant’altro. Devo ammettere con scarsi risultati. Le mie argomentazioni, astrattamente condivisibili in linea di principio, dovevano pur fare i conti – e che cavolo – con quella diffusa esigenza di giustizia vera che dovrebbe costituire patrimonio delle coscienze di tutti gli esseri umani. Avvocati compresi.

Nulla di grave, comunque. Le discussioni si concludevano sempre cordialmente, con indulgenti riferimenti alla mia “deformazione professionale”, ed alla bonaria comprensione legata al fatto che, proprio grazie alla famigerata tiritera, io mi guadagnavo da vivere. Resta inteso che, in ogni caso, li dovevo stupire convenendo sul fatto che il singolo episodio aveva scosso anche me, avvocato. Mi sono guadagnato un sacco di riconoscimenti tipo Ah, ecco. Oppure ah, volevo ben dire. Sono il mio blasone, il mio passaporto per il genere umano.

Insomma, sia pure con le attenuanti, ma me la cavavo. Si, perché il tutto era condito dalla sgradevole sensazione di essere io sul banco degli imputati. Forse è per questo che, a volte cedevo all’insofferenza con un “uffa, ogni volta gli stessi discorsi, sempre con me, cercati qualcun altro”. Altre volte esprimevo identico concetto con linguaggio decisamente più colorito. Ultimamente però il mio approccio è cambiato. Il più delle volte mi limito ad ascoltare con timide interlocuzioni, senza infervorarmi più di tanto nella discussione. “In fondo – mi dico – i loro dubbi, sono anche i miei”. Io però li supero. Spesso mi costa fatica, ma li supero. Non so come, ma li supero.

Ora vi dico una cosa: in questi giorni mi è capitato spesso di pensare ai preti. Proprio così, ai preti. Chissà quante volte capita che qualcuno gli chieda conto e ragione “del loro Dio”, di quel Dio che ha permesso e permette tutte quelle tragedie individuali e collettive che attraversano l’Umanità. Non deve essere affatto facile, per loro, rispondere. Forse invocano la Fede. Quel misterioso algoritmo che non tutti hanno, ma che tutto spiega.

Forse il Garantismo è come la Fede. C’è chi ce l’ha, e c’è chi non ce l’ha.

Forse è così che funziona.

Perdonate l’azzardo

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