E tre imprenditori negano il pizzo|Luzi: "Coraggio al posto del silenzio" - Live Sicilia

E tre imprenditori negano il pizzo|Luzi: “Coraggio al posto del silenzio”

Operazione Camaleonte
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Negare, sempre e comunque. Pure l’evidenza, se è necessario. Tre imprenditori preferiscono correre il rischio, concreto e scontato, di finire sotto inchiesta per favoreggiamento, piuttosto che ammettere di avare pagato il pizzo. L’inchiesta Camaleonte, che ha colpito al cuore il mandamento mafioso di Caccamo, ha fatto luce su quindici episodi estorsivi. Undici imprenditori, messi alle strette dagli investigatori, hanno ammesso di avere pagato la messa a posto. Tre di loro si sono ritirati sulle barricate del silenzio. Si tratta di Calogero Marino, presidente della Mare Sud Piccola Società Cooperativa con sede a Trabia; Rosario Chinnici, titolare della impresa edile Chinnici srl di Termini Imerese, che ha versato cinquecento euro come acconto del racket; Salvatore Sacco, titolare della Jato Trans di Termini. Dei nove arrestati dai carabinieri del Gruppo di Monreale e della compagnia di Termini Imerese solo tre erano ancora in libertà. Sono Nicola Marsala, nato a Palermo ma residente a Sciara, Salvatore La Barbera, nato a Trabia e residente a Bagheria, e Angelo Giuseppe Rizzo, nato a Ventimiglia di Sicilia e residente a Bagheria. Tutti gli altri si trovavano già in carcere.

Gli altri si trovavano già in cella: Alfonso Riccio, Cosimo Serio, Paolo Piazza Palazzotto, Leonardo Monastero, Agostino Pattarello Scarcipino, Antonio Teresi. Al solo Marsala viene contestato il reato di associazione mafiosa. Tutti gli altri rispondono di estorsione. Benedetto Graviano era stato chiaro. Quando aveva dato mandato a Fabrizio Iannolino di riorganizzare il mandamento mafioso colpito dagli arresti seguiti al pentimento di Nino “Manuzza” Giuffrè gli aveva raccomandato di incassare il pizzo a tappeto. E Iannolino si era messo alla testa di un manipolo di picciotti che si muovevano in trasferta da Palermo per mettere a ferro e fuoco la zona fra Termini e Caccamo. La tassa era fissa: il tre per cento sui lavori. Da pagare in due rate a Natale e Pasqua. Non doveva sfuggire nessuno. Dal titolare della grossa cava al piccolo imprenditore specializzato nei trasporti. Iannolino ci aveva messo un po’ a piegare al suo volere i mafiosi della zona. Santi Balsamo e Salvatore La Barbera non gradivano il commissariamento imposto da Brancaccio. Una lunga scia di intimidazioni li aveva portati sulla “retta via”.

La collaborazione degli imprenditori, seppure forzata, è un segnale importante”, dice il generale Teo Luzi, comandante provinciale dei carabinieri di Palermo. “E’ un segnale – aggiunge – che deve dare coraggio a tutti gli imprenditori che continuano a scegliere la strada del silenzio. Assieme possiamo fare qualcosa di importante in una zona dove ancora si registrano forti resistenze all’attività delle forze dell’ordine”. Ecco perché il segnale dato dall’operazione diventa ancora più importante. “La mafia periferica, quella lontana da Palermo – conclude Luzi – forse oggi è ancora più forte di quella del capoluogo. Può contare sui legami molti stretti che alcuni personaggi hanno con il territorio. Legami che portano ad un controllo più capillare delle attività. Da parte nostra c’é la massima attenzione e gli arresti di oggi lo confermano”. Sulla stessa scia le dichiarazioni del colonnello Pietro Salsano, comandante del gruppo carabinieri di Monreale: “L’operazione deve dare coraggio agli imprenditori di un intero territorio. L’imposizione delle tasse mafiose rischia di mettere in ginocchio il tessuto produttivo delle zona già colpito, solo per fare un esempio, dalle vicende della Fiat di Termini Imerese. L’operazione di oggi serve a incoraggiare le denunce e, nel contempo, a togliere potere e prestigio alle cosche, la cui principale fonte di reddito resta il racket delle estorsioni.


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