Eravamo quattro amici al Riso - Live Sicilia

Eravamo quattro amici al Riso

anticipazione di "S" in edicola
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Palermo è come un ricamo antico: dal lato visibile appare il disegno, netto e preciso, ma basta girare la stoffa ed ecco svelati l’intrico dei fili, la sovrapposizione dei punti, in pratica il volto nascosto del bello. A Palermo ogni storia svela sempre la tela del ragno. La vicenda di Palazzo Riso fa capire molte cose, soprattutto lascia intuire la cifra dell’amicizia alla palermitana.

I fatti sono apparentemente semplici: il direttore di Palazzo Riso, Sergio Alessandro, diffonde un comunicato annunciando che la galleria rischia di chiudere. A una prima lettura sembra che sia una semplice questione di soldi, 12 milioni di fondi europei destinati al museo ma che invece potrebbero essere dirottati altrove. Sembra una storia ordinaria nella Sicilia delle incompiute e dei paradossi. Ma a questo punto qualcuno capovolge la tela e mostra il rovescio del ricamo. Cerchiamo di sbrogliare la matassa. Il primo filo porta il nome dell’ex sottosegretario Gianfranco Micciché. “La questione dei fondi europei è la goccia che ha fatto traboccare il vaso – sostiene il leader di Grande Sud – ma la vera questione riguarda la sistemazione della moglie di Gesualdo Campo”.

La moglie di Campo? Ma che c’entra, si chiede il lettore ingenuo (cioè il lettore non siciliano)? Allora bisogna leggere con attenzione le parole di Micciché: “Un giorno questo dirigente della Regione mi è venuto a trovare dicendomi che era sua intenzione mettere a capo di Palazzo Riso la moglie, una ‘ottocentista’. Ci sono rimasto di stucco: ho obiettato che un museo d’arte contemporanea guidato da un’esperta di arte dell’Ottocento non era proprio un’idea geniale. Lui ha insistito, adducendo per altro delle motivazioni legate al ricongiungimento con la moglie”.

A questo punto bisogna seguire il secondo filo, che porta il nome di Campo. Chi è? Siamo di fronte a un super burocrate della Regione, dirigente del dipartimento Beni culturali. Ascoltiamo le parole di Campo per cercare di dipanare l’intrico: “Non ho difficoltà a confermare i contenuti della conversazione amichevole con Gianfranco Micciché. È avvenuta nei primissimi mesi del 2010, poco dopo la mia nomina a dirigente regionale del dipartimento regionale dei Beni culturali, che ha implicato il mio trasferimento da Catania a Palermo. Dissi a Micciché della mia legittima aspirazione al congiungimento familiare”.

Sempre quel lettore ingenuo si interroga: ma perché Campo va da Micciché? Quale carica ha l’ex sottosegretario per poter disporre il trasferimento da Catania a Palermo della signora Campo? E soprattutto che bisogno ha il dirigente dei Beni culturali di chiedere una raccomandazione per un suo dipendente? La moglie di Campo infatti lavora proprio alla Regione, nel settore dei beni culturali. Insomma, Campo poteva fare da sé o rivolgersi al suo assessore. Invece va da uno che, in teoria, non dovrebbe avere alcun potere diretto. Si può pensare che Campo vada da Micciché per un suggerimento o un consiglio, come in genere si fa con un amico. La conversazione, infatti, fu “amichevole”, spiega Campo. Tanto amichevole che alla prima occasione l’amico Gianfranco ha sputtanato l’amico Gesualdo sui giornali. A meno che Campo non sia andato da Gianfranco perché sapeva che questi aveva un altro amico, molto più amico di lui. Micciché infatti è il “big sponsor” di Sergio Alessandro. “Mi accusano di essere il big sponsor del direttore? Se questo legame è inteso come amicizia affaristica e clientelare allora lo nego assolutamente”, precisa Micciché. “In tutta la mia vita ho incontrato il direttore una sola volta. Se big sponsor, invece, significa difensore di una persona e di un team che hanno dimostrato di sapere lavorare in maniera eccellente, allora non posso che rivendicare con orgoglio questo appellativo”.

Viene allora il dubbio che Campo vada da Micciché per sondare il terreno, per capire se l’amico Gianfranco è ancora veramente amico di Sergio o se invece preferisca diventare più amico di Gesualdo. Ma queste sono congetture che mal si addicono a un sentimento così nobile e puro come l’amicizia. Se uno fosse malpensante potrebbe sospettare che, appena conclusa l’amichevole conversazione tra l’amico Gesualdo e l’amico Gianfranco, quest’ultimo abbia raccontato all’amico Sergio che quell’altro amico (ma un po’ meno amico) gli voleva fregare il posto per poter avere la moglie vicina.

Storie di affetti, dunque. Storie commoventi di gente che ha a cuore l’amicizia e la famiglia. Dicono che il bandito Salvatore Giuliano avesse scritto una frase sul calcio del suo fucile: “Dagli amici mi guardi Iddio che dai nemici mi guardo io”. Sappiamo com’è finita: l’amico Pisciotta non ci pensò due volte ad ammazzare l’amico Giuliano. Cose che possono succedere solo tra amici.


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