Delitto a colpi di lupara, ergastolo definitivo per il boss Seminara

Delitto a colpi di lupara, ergastolo definitivo per il boss Seminara

La Cassazione ha respinto il ricorso: passa in giudicato la condanna
MAFIA, CATANIA
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RADDUSA (CATANIA) – Il suo vecchio braccio destro Salvatore Cutrona, a 66 anni, per lui era diventato ingombrante, o comunque “inaffidabile”. E per questo “zio Turiddu”, al secolo Salvatore Seminara, anziano pastore di Mirabella Imbaccari – che a un certo punto divenne uno dei più potenti boss della Sicilia centro-orientale – lo fece ammazzare da un killer di mafia.

L’ergastolo di Seminara è divenuto definitivo. I giudici della Suprema Corte di Cassazione hanno respinto il ricorso del suo legale, l’avvocato Francesco Azzolina. E la sentenza, per questo, è divenuta irrevocabile. Zio Turiddu, come lo chiamano all’interno del clan, è stato coinvolto in vari processi di mafia ed è già stato giudicato un boss da un’altra sentenza definitiva.

Nell’omicidio di Cutrona, che era il capo della famiglia di Raddusa, fu ucciso pure l’operaio ventisettenne Francesco Turrisi, che gli dava una mano in campagna. In quel delitto, a colpi di lupara in campagna nel giorno di Pasqua, Cosa Nostra mise praticamente la sua firma: stampo mafioso, metodo mafioso, simbologia mafiosa.

La cronaca del delitto e la “firma” di Cosa Nostra

L’assassino attese alle 7 del mattino che l’auto su cui erano a bordo le vittime giungesse in contrada Manca, a due passi dalla proprietà di Cutrona, per entrare in azione armato di lupara. Almeno cinque colpi di fucile a pallettoni hanno crivellato la Fiat Stilo guidata dal giovane Turrisi. Le vittime non hanno avuto scampo.

Evidentemente il piano era stato studiato nei dettagli. Qualche ora dopo, nella vicina Aidone, in provincia di Enna, i carabinieri rinvennero, incendiata, l’auto che potrebbe aver usato il killer, una Punto rubata, forse assieme a un complice. Aidone e Raddusa distano tra loro non più di 15 chilometri.

Subito l’indagine seguì la pista mafiosa. Poi l’inchiesta, coordinata dal Ros e dalla Dda di Catania, ha chiuso il cerchio. Seminara è stato uno degli ultimi capimafia di Enna. E a un certo punto, secondo quanto è emerso dal processo Kronos, avrebbe preso potere pure nella zona del Calatino. Poi però cadde in disgrazia, perché inviso ad alcuni soggetti del Catanese.

Questo, assieme alla prolungata detenzione, gli costò pure lo scettro in provincia di Enna: ormai qui non comanda più nulla. Nell’Ennese, al posto suo, i catanesi avrebbero messo a comandare quelli del clan di Pietraperzia. Nello specifico, i referenti dei Santapaola Ercolano nell’Ennese sarebbero attualmente i due fratelli Giovanni e Vincenzo Monachino.

Chi sono i fratelli che hanno scalzato Seminara a Enna

I due fratelli Monachino sono stati ritenuti “vincenti” forse anche perché intraprendenti e in grado di diversificare le attività mafiosa. Il clan di Pietraperzia è riuscito a insinuarsi negli affari dell’Expo di Milano e a mantenere rapporti con la ‘ndrangheta e con le famiglie di altri mandamenti di Cosa Nostra nell’intera Isola. Seminara, peraltro, era stato imposto dal sanguinario boss di Caltagirone Ciccio La Rocca, di recente scomparso.

Il potere dei pietrini invece sarebbe stato imposto da gruppi legati direttamente alla famiglia Santapaola Ercolano. I due del resto sono storicamente ritenuti “affidabili” dall’organizzazione mafiosa, tanto da aver organizzato tra il ’91 e il ’92 la logistica dei summit in cui Totò Riina decise, tra Barrafraca e Pietraperzia, le stragi di Capaci e via D’Amelio.


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