“Faraone ha dato la Sicilia a Renzi | Contro di me la mafia ha perso” - Live Sicilia

“Faraone ha dato la Sicilia a Renzi | Contro di me la mafia ha perso”

Intervista ad Antoci: “Nel Pd è sparito il tema della lotta alla mafia. Da Musumeci mi aspettavo una telefonata. Crocetta e Lumia? Mi hanno aiutato”.

L’INTERVISTA
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7 min di lettura

“Il vero successo lo otterremo quando parleremo di Antimafia senza parlare di simboli o di eroi. Quando ci limiteremo a giudicare i fatti, i risultati concreti”. Giuseppe Antoci ha ancora negli occhi le scene dell’attentato subito nel maggio del 2016 (“e che a volte non mi fanno dormire”). Oggi è il responsabile nazionale Legalità del Partito democratico: “Un partito che non comprendo più”.

In che senso non comprende più il Pd?

“Non capisco se si lavora nell’interesse del partito o solo per una parte di esso”.

Però nel Pd ha deciso di entrare, partecipando anche a una Leopolda, per poi prendere le distanze da Renzi.

“A dirla tutta, mi è stato chiesto anche di essere il candidato alla Presidenza della Regione, ed ero tra quelli ‘certi’ di finire nei posti buoni della lista al Senato. Ho scelto di accettare solo il ruolo di responsabile della Legalità perché il mio interesse era quello di seguire la nascita della legge scaturita dal mio protocollo, quello che ha messo in ginocchio la mafia dei pascoli”.

Era sicuro di essere in una lista alle ultime Politiche, lei dice. Poi cosa è successo?

“Una cosa semplice: Renzi non ha rispettato i patti. Ci era stato assicurato che la composizione delle liste avrebbe tenuto conto delle percentuali del Congresso. Non è avvenuto. E di fronte al rischio che alcuni dell’area Orlando o Emiliano entrassero, e altri no, abbiamo preferito tirarci tutti fuori da questa logica, da questo metodo. Il mio obiettivo non era certamente quello di fare il parlamentare per forza”.

Eppure lei a Renzi si era avvicinato, con tanto di partecipazione alla sua Leopolda. In quei giorni riconosceva l’interessamento dell’allora premier alla sua storia.

“Certo, è così. E io non posso certo lamentarmi di nulla, riguardo ai rapporti personali con Renzi. Ma proprio per questo con lui sono stato molto schietto: gli ho detto che io non potevo fare come i tanti che stanno attorno a lui. Vale a dire che non potevo dirgli che lui era perfetto e non sbagliava mai, come fanno i suoi fedelissimi”.

E così, ha scelto di andare altrove, sempre all’interno del Pd.

“Sì, da lì si decise in occasione delle primarie di mettere su il ticket con Emiliano. Un modo per dire anche che non condividevo più i metodi con i quali era guidato il Pd. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti, anche in Sicilia”.

Possibile che anche in Sicilia sia colpa di Renzi? Secondo lei, invece, non c’entra nulla, col calo dei Dem, la confusa, contraddittoria esperienza del governo Crocetta? Che giudizio dà del governatore che l’ha voluto al vertice del Parco dei Nebrodi?

“Guardi, di sicuro quell’esperienza politica ha fatto emergere la litigiosità del Partito democratico. E alcune prese di posizione che i cittadini non hanno capito. Penso ad esempio a Davide Faraone: come fai ad attaccare ogni giorno il governo regionale pur avendo indicato assessori in giunta? Per il resto le posso dire che Crocetta, durante i giorni più difficili, mi è stato molto vicino e ha mostrato anche grande coraggio”.

Al di là degli aspetti politici, invece, che idea si è fatto della portata ‘etica’ di quella esperienza, anche sulla base di quanto emerso dall’inchiesta su Montante e la Confindustria siciliana?

“Io sono sempre stato piuttosto lontano da quei mondi. Montante l’ho incontrato una sola volta in occasione di una mostra. Lo stesso vale per Venturi, ai tempi in cui lui era un assessore regionale. Ritengo però che l’errore vero, nell’ottica della lotta antimafia, sia stato quello di far passare l’idea che esistessero delle ‘squadre’. E che qualcuno si potesse considerare un intoccabile. L’unica squadra è lo Stato. Ma bisogna fare attenzione a non commettere un errore speculare”.

Quale sarebbe?

“Quello di generalizzare. Di buttare via tutta l’antimafia. Di ragionare senza fare le dovute distinzioni. Ecco, questo sarebbe un favore alla mafia”.

E lei non crede, invece, che a fare un favore alla mafia sia stata anche certa antimafia ‘fasulla’, ipocrita?

“Certo, è successo anche questo. Penso ad alcuni recenti casi giudiziari. Al di là di quello che verrà chiarito nei tribunali, certamente è passata l’idea che, ad esempio, la denuncia sia inutile. E questo è gravissimo. Il tema della lotta alla mafia però deve restare al centro dell’azione politica. E da questo punto di vista il mio partito mi preoccupa un po’”.

Cosa la preoccupa?

“Durante questa campagna elettorale avete sentito qualcuno dei nostri candidati sindaci parlare di lotta alla mafia? E mi chiedo ancora: chi, tra i parlamentari eletti in Sicilia è pronto a sollevare questi temi, magari facendo nomi e cognomi, come magari ha fatto qualcun altro in passato?”.

A chi si riferisce?

“Penso a Giuseppe Lumia”.

Uomo politico a lei vicino. I suoi nemici lo dipingono come il classico ‘professionista dell’antimafia’…

“Io le posso dire, così come è stato per Crocetta, che Lumia per me è stato molto importante. Sono stati i suoi emendamenti a dare una spinta decisiva alla legge che accoglie il mio protocollo. Certo, chi fa politica da tanti anni finisce per avere tanti nemici. E forse anche troppi amici”.

Torniamo al Pd siciliano e ai suoi recenti risultati. Da dove si riparte? E come?

“Intanto bisogna prendere atto che la gestione in Sicilia di Faraone ha creato molti problemi, anche tra i militanti”.

Perché parla di ‘gestione Faraone’? Il segretario regionale del Pd era Fausto Raciti.

“A Raciti riconosco di avere avuto la volontà di fare qualcosa. Ma è stato chiaramente bypassato e anche mortificato nel suo ruolo. Ecco, proprio da lì bisognerebbe partire: se c’è anche confusione sui ruoli effettivi ricoperti dai dirigenti di partito, di cosa si può mai discutere? L’impressione in questi anni era che, alla fine, decideva sempre Renzi. Al quale Faraone ha regalato la Sicilia”.

Che vuole dire?

“Le sembra normale che Maria Elena Boschi fosse capolista in diversi collegi siciliani? E che capolista non fosse ad esempio proprio Raciti? Quello è un segnale chiaro: si è agito nell’interesse di una parte, non di un partito”.

Ma adesso secondo lei i renziani in che direzione vanno? Ad esempio, le chiedo: nelle recenti dichiarazioni di Faraone a sostegno di Marcello Dell’Utri c’è, secondo lei, solo un genuino riconoscimento della condizione del carcerato, o c’era anche una ‘mossa di avvicinamento’ a Forza Italia e quindi a un modo di centrodestra con cui, magari, presto iniziare a dialogare?

“Credo che ci fossero entrambe le cose. E in qualche modo, le recenti esperienze delle elezioni amministrative, penso a Trapani e Siracusa, lo confermano. Su questo punto, però, ho sempre avuto un atteggiamento ‘laico’. Nel Pd c’è sempre stata un’anima centrista, moderata, direi anche democristiana. Ma bisogna essere chiari e capire, lo ripeto, se queste scelte rispecchiano le esigenze dell’intero Pd, o solo della parte che fa capo all’ex premier”.

E lei che intende fare? Intanto Renzi non è più segretario. C’è Martina a reggere il partito.

“Martina finora non mi ha convinto: doveva dare l’idea del cambiamento, ma non è riuscito a farlo. Adesso voglio capire se il Pd è ancora la mia casa. Se fossi rimasto con Renzi, a quest’ora sarei un parlamentare nazionale. Ma io ho iniziato quest’avventura perché ho creduto fosse il momento di compiere delle scelte. Non vorrei, però, che si sia solo deciso di ‘usare’ la mia storia, il mio vissuto”.

L’attentato, cioè, legato alla sua gestione del Parco dei Nebrodi. Pochi mesi fa, il nuovo presidente Musumeci ha deciso di rimuoverla dall’incarico, sulla base dello spoils system. Dispiaciuto?

“Il problema non è nella scelta in sé. E ovviamente non è nella perdita di quell’incarico, se pensa che io ho rischiato di essere ammazzato per un compenso pari a 700 euro al mese. La cosa che mi è dispiaciuta di più è stato il fatto di non avere ricevuto nemmeno una telefonata, dopo tutto quello che avevo passato. Poteva dirmi che ero stato bravo, o che non lo ero stato. Ma niente. Eppure, il governatore ha detto di essermi stato sempre vicino. Io non l’ho mai sentito però, né è mai venuto a trovarmi al Parco. Ecco, il metodo. Il metodo usato mi ha ferito”.

Guardiamo avanti. Cosa lasciano quei giorni, in vista del futuro?

“Io non sarò più la persona che ero prima dell’attentato. Ma se posso dire la mia, penso che la Sicilia debba iniziare a mettere da parte la parola ‘antimafia’. Bisogna spogliarla di ogni aspetto politico. E spiegare ai ragazzi che quelli che vengono dipinti come eroi o simboli, sono solo persone che hanno deciso di fare, semplicemente, il proprio dovere. E io dal canto mio potrò sempre dire che contro di me la mafia ha perso”.


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