Togliete per un attimo di mezzo gli affari di Arata e l’ombra delle mazzette, l’odore di Cosa nostra e la sagoma del latitante. Togliete per un attimo dal tavolo il biogas e i sottosegretari, gli avvisi di garanzia e le intercettazioni. Se ne è parlato e se ne riparlerà. Ma se togliete di mezzo tutto questo, resterà una cosa, una fotografia, una chiara. Quella di una Regione, di un governo in cui… non si parla. L’assessore lamenta di non essere stato avvisato dal collega assessore che a sua volta avrebbe avvertito solo il presidente dell’Ars che non ha reputato necessario avvisare l’altro assessore del governo. E ancora, c’è di più, l’assessore lamenta che il dirigente generale sapeva ma non l’ha messo in guardia, l’altro assessore lamenta che troppa gente ha agito alle sue spalle, tacendo.
È la Regione dei fili senza telefono. L’immagine capovolta di quel gioco da ragazzi in cui la notizia passava da un orecchio all’altro, in una catena che avrebbe alla fine prodotto una frase diversa da quella d’origine. Ma qui, come detto, siamo nell’altra dimensione: quella in cui i fili ci sono – sono quelli dei contatti, degli incontri, delle amicizie – ma in cui manca il telefono, manca l’orecchio al quale confidare il ‘problema’.
Il tema è tornato d’attualità anche oggi, nel corso dell’audizione dell’assessore al Territorio e ambiente Toto Cordaro. Una audizione in cui è emerso il ruolo dell’ormai ex capo di gabinetto dell’assessore Vincenzo Palizzolo, dimessosi proprio ieri. Una trama non molto diversa da quella descritta tre giorni fa da Alberto Pierobon, che non ha nascosto il rammarico per il “difetto di comunicazione” con i suoi dirigenti generali Salvo Cocina e Tuccio D’Urso: “Ora dicono ovunque che sapevano, perché non l’hanno detto anche a me?”. Vicende, queste, che possono essere in fondo liquidate col ricorso al vecchio dilemma della Regione siciliana: contano più i politici o i burocrati? Una domanda retorica, specie negli ultimi tempi, e alla quale abbiamo risposto proprio ieri: i dirigenti oggi contano più dei componenti della giunta che spesso cambiano, che sono legati a logiche fragili, che a volte – non solo per insipienza ma anche perché diverso il loro ruolo – non conoscono e non possono conoscere dettagli tecnici e spigolature amministrative.
Certo, un tema a parte è quello dell’assessorato all’Energia. Stando alle norme, almeno. A guidare i dipartimenti, infatti, sono dirigenti generali il cui nome deve essere proposto dall’assessore al ramo. Insomma, sono tanto delicate e di alto livello le funzioni dei direttori, che le stesse norme che regolano nomine di questo tipo, lasciano un margine non limitato di discrezionalità. Tra l’assessore e il dirigente generale deve esistere un rapporto “fiduciario”. Una considerazione di buon senso, visto che il dirigente apicale è il primo referente del politico, la prima persona a cui l’assessore possa chiedere: “Voglio fare questo, o voglio fare quello, è tecnicamente, amministrativamente possibile?”. Dall’audizione di Pierobon, ma anche da quanto riportato dal presidente della Commissione antimafia Claudio Fava rispetto alle dichiarazioni di Salvo Cocina, questo rapporto tra assessore e direttore sembra non esserci. L’assessorato all’Energia (cioè anche l’acqua, i rifiuti, pale e impianti) sembra dilaniato in più repubbliche autonome. Repubbliche che, come emerso dalle audizioni, non si parlano nemmeno. E così, ecco la contraddizione: rapporti fiduciari in cui la fiducia sembra essere svanita, logorata dagli eventi. Possibile andare avanti così, in un assessorato talmente delicato? Forse, di questo dovrebbe occuparsi il governo nella sua totalità, nella sua collegialità.
Se non fosse, però, che anche la collegialità della giunta, il “gioco di squadra”, sembra non esistere affatto. E così, il governo Musumeci, semmai, sembra una squadra nella quale i giocatori non si passano nemmeno la palla, non chiacchierano nello spogliatoio. I riferimenti di oggi da parte di Cordaro all’”insistenza di Pierobon” (fatta salva ovviamente la buona fede) e nella stessa audizione alla mancata comunicazione da parte di Turano che dietro a quell’affare potesse esserci qualche problema, ne è una spia. Ma lo è anche la lamentela di Pierobon sempre riferita a Turano e al “difetto di comunicazione” sul caso Arata. Ed evitiamo riferimenti ad altri assessorati, solo perché gli “strappi”, in quei casi, hanno radici in altre vicende, diversa da questa. E così, viene da pensare che le lamentele di qualche tempo fa del presidente della Regione nei confronti della “comunicazione esterna” andrebbero maggiormente indirizzate alla comunicazione interna. Quella tra alti dirigenti e assessori. E quella tra gli stessi assessori della sua giunta. Anche per il futuro. Anche per evitare di consegnare alla Sicilia, tolti di mezzo mazzette e faccendieri, amicizie e latitanti, l’immagine di una Regione con troppi fili e pochi telefoni.