Flat tax e tassazione |Interviene l'imprenditore Urzì - Live Sicilia

Flat tax e tassazione |Interviene l’imprenditore Urzì

Andrea Urzì, imprenditore catanese, analizza la proposta della flat tax annunciata in campagna elettorale da alcuni esponenti.

L'ANALISI
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4 min di lettura

In questa campagna elettorale ha preso il centro della scena la proposta di alcune forze politiche di applicare nel nostro sistema fiscale la cd “Flat Tax”, ovvero l’aliquota unica, con una percentuale del 23%, pari al più basso scaglione IRPEF attuale.

Adottare questa aliquota senza contromisure allo squilibrio nel breve del gettito e senza prevedere tagli di costi nel bilancio dello Stato (in cui c’è enorme margine, d’altro canto) pare però un approccio un pò parziale.

Sarebbe più strutturale passare da un’ipotesi di “aliquota piatta e unica” ad un concetto di “aliquota preminente”, ovvero quel numero che è la base di tutti i vari e numerosi capitoli della tassazione ma con dei discostamenti che tengano conto del principio progressivo.

L’aliquota corretta è il 25%, poiché ingloba il principio etico per cui è accettabile per un cittadino contribuire con un quarto di quanto percepito ai servizi complessivi. Ma, deve essere anche facile e comprensibile ed è perciò necessario che essa venga applicata anche a tutte le forme dirette ed indirette di tassazione, quindi IRES (inglobando e annullando l’insensata IRAP) che oggi è il 24%+3,9% di irap, IRPEF oggi dal 23% al 43%, IVA 22%, 10%, 4%, PLUSVALENZE oggi al 26%, contributi INPS (almeno la quota a carico dell’impresa) mediamente il 35%.

L’aliquota deve essere poi corretta del 50% in diminuzione (12,5%) o in aggiunta (37,5%) a seconda del reddito, con la previsione di una soglia di 12.500 euro ad esenzione totale (no-tax-area). Ad esempio dai 12.500 ai 25.000 il 12,5%, da quella quota ai 250.000 il 25%, da lì in su 37,5%. Le soglie di reddito sono ovviamente modulabili ma tendenzialmente bisogna applicare un’addizionale a partire da quella soglia per la quale la gente smette di consumare o risparmiare per produrre o salvaguardare il proprio futuro e comincia invece a vivere di rendita (e questa soglia non è certo raggiunta a 75.000 euro come oggi, senza discrimine poi se si tratta di un single o una famiglia). Difatti è noto il principio espresso dall’economista e Premio Nobel Paul Samuelson per cui un cittadino può in fondo godersi 3,4 case o 3,4 auto ma già la quinta non riuscirà mai ad usarla e quindi non spenderà più limitandosi ad accumulare senza portare beneficio collettivo.

Così le aliquote IVA sarebbero a base 25% con le ridotte a 12,5% e 5%. Analogamente l’imposta sostitutiva sulle rendite finanziarie, come azioni e obbligazioni sarebbe al 25% anche per i titoli di Stato.

Il vantaggio di un tale sistema è la sua semplicità la sua immediata comprensione ed il fatto che è equilibrata e completa. Inoltre, l’aumento dell’IVA compensa nel breve il potenziale squilibrio di cassa ma non pesa sul contribuente che si trova più soldi in tasca.

Dopo un ragionevole lasso di tempo il sistema sarà in equilibrio e si potrà fare un ulteriore scatto in giù dal 25% al 20%, sempre su tutte le voci che compongono la variegata pressione fiscale.

Una ulteriore misura che dovrebbe accompagnare questa epocale riforma, e che la renderà ancora più equa e sostenibile, è l’eliminazione totale del denaro contante dalla circolazione al fine di rendere impraticabile il sommerso

 

l’economia da lavoro sommerso secondo l’Istat, sottrae al fisco italiano un imponibile di circa 200 miliardi di euro l’anno. L’esercito di lavoratori in nero è composto da circa 3 milioni di unità di lavoro standard. Di questi 2.300.000 sono lavoratori dipendenti che svolgono il secondo o il terzo lavoro in modo non regolare.

l’economia criminale realizzata dalle grandi organizzazioni mafiose che, in almeno 3 regioni del Mezzogiorno, controllano buna parte dell’economia di quei territori grazie al riciclaggio. Si stima che il giro di affari non “contabilizzati” si attesta sui 100 miliardi di euro l’anno.

Infine c’è l’evasione dei lavoratori autonomi e delle piccole imprese dovuta alla mancata emissione di scontrini, ricevute e fatture che sottrae all’erario circa 6 miliardi di euro l’anno.

Totale mancata denuncia di ricavi e redditi stimata 306 miliardi di euro l’anno per un mancato gettito da evasione è stimato in almeno 120 miliardi, il 7% PIL nazionale. inoltre il costo del contante (stamparlo, trasferirlo, proteggerlo, assicurarlo) ammonta a circa 8 miliardi l’anno. e non è trascurabile il fatto che Il 18% delle monete e il 7% delle banconote in circolazione sono veicoli di batteri anche potenzialmente pericolosi come l’escherichia coli e lo stafilococco aureo. Questo determina comunque un costo sanitario aggiuntivo oltre che un calo di produttività per perdita di ore lavoro. Inoltre, se non c’è denaro nelle case e nei negozi non ci saranno più rapine e furti violenti ma solo digitali, che sono assicurati.

Un’ultima battuta nei riguardi degli oppositori che certamente tireranno in ballo l’argomento delle “nonne”; ovvero ”come farà la pensionata a comprare la verdura sotto casa?” Costoro sono rimasti più indietro dei loro anziani di riferimento. Conosco molte nonne che si destreggiano valorosamente con whatsapp e facebook e temono più di terminare i “giga” che le derrate in frigo. Figuriamoci se non possono imparare ad usare una carta contactless con limite di spesa di 25 euro e i cui acquisti sono pure assicurati! E se proprio non riescono, con 190 miliardi di recupero diamo a tutte le nonne l’assistenza domiciliare gratuita. Una promessa neanche tanto estrema in questa campagna elettorale.


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