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Forgione rinuncia|Ecco gli altri che restano

Regione, il Museo della legalità
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L’impegno per l’affermazione della legalità non può e non deve conoscere ombre. E’ partendo da questo presupposto che Francesco Forgione, ex presidente della commissione parlamentare Antimafia e oggi militante di Sinistra ecologia e libertà, ha annunciato di non volere far parte del comitato scientifico per il costruendo “Museo della memoria e della legalità”. A nominarlo tra i membri del comitato era stato l’assessore regionale ai Beni culturali e all’identità siciliana Gaetano Armao, che oggi ha la delega all’Economia.

“Ritengo – ha spiegato Forgione – che le ultime vicende che investono direttamente il presidente della Regione Raffaele Lombardo e suo fratello, deputato al Parlamento nazionale, indagati per concorso esterno in associazione mafiosa gettano un’ombra grave sull’intera istituzione regionale che non mi consente di partecipare alla realizzazione del progetto. Le vicende giudiziarie e i rapporti con le associazioni mafiose di chi ricopre importanti cariche pubbliche non sono mai vicende private: appannano la trasparenza delle istituzioni, alimentano sfiducia nei cittadini, contribuiscono a diffondere un giudizio sulla politica come cosa sporca”.

Il “Museo della memoria e della legalità” è stato pensato per “contribuire alla conservazione della memoria collettiva sui tragici eventi di stampo mafioso e criminale che hanno segnato la storia della Sicilia”. Un luogo dall’alto valore simbolico, per raccontare le ferite inflitte da Cosa nostra ma anche il percorso di rinascita dell’Isola. Il 10 agosto scorso, con decreto firmato da Armao, è stata ufficializzata la composizione del comitato scientifico.

L’incarico di studiare la fattibilità operativa del museo è stato affidato, oltre a Forgione, ad Alessandro Maria Calì, tesoriere della Consulta degli Ordini degli Ingegneri della Sicilia; Gesualdo Campo, dirigente generale del Dipartimento regionale Beni Culturali e dell’Identità Siciliana; Salvatore Costantino, professore presso la Facoltà di Scienze Politiche, dell’Università degli Studi di Palermo; padre Nino Fasullo, sacerdote redentorista e direttore della rivista “Segno”; Francesco La Licata, giornalista, esperto di storia della mafia; Manlio Mele, già deputato sia regionale che nazionale; Giovanni Puglisi, rettore dell’Università Iulm di Milano. Con loro anche Claudio Riolo, studioso dei sistemi politici e ricercatore presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Palermo; Umberto Santino, studioso e profondo conoscitore dei fenomeni mafiosi e criminali, fondatore del Centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato”; Ernesto Savona, docente di Criminologia nell’Università Cattolica di Milano; Vittorio Sgarbi, sindaco del Comune di Salemi e l’ex procuratore nazionale antimafia Pier Luigi Vigna.

Ognuno di loro, si legge nel decreto, possiede “la professionalità e l’esperienza necessarie a supportare il percorso di ricognizione storica, definizione e fondazione del museo”. Il comitato ha il compito di collaborare alle attività che si renderanno necessarie durante la ricognizione storica, la definizione e la fondazione del museo stesso e di esaminare tutte le questioni operative connesse con la scelta del sito e l’avvio del progetto architettonico. Il ruolo di presidente del comitato è stato affidato allo stesso Armao “o – recita il decreto – un suo delegato”.

Con successivi decreti sono poi stati chiamati a farne parte anche il responsabile regionale di Salvalarte Sicilia-Legambiente Gianfranco Zanna (2 settembre); l’economista e ricercatore presso l’Università degli Studi di Messina Maurizio Lisciandra (9 settembre); i docenti universitari Maurizio Carta e Girolamo Lo Verso (10 settembre).

Nel decreto di nomina si precisa che “I componenti del Comitato scientifico manterranno la carica per il periodo necessario a espletare interamente il mandato e dalla partecipazione al Comitato non deriva diritto ad alcun compenso”. Prima ancora di avere una sede il museo conosce però la prima defezione. Un “no, grazie”, quello di Forgione, pronunciato in nome dell’etica. Sarà la magistratura a dire l’ultima parola, ma “quello che emerge – ha sottolineato Forgione – è un sistema di relazioni che pone una questione morale enorme sulla natura di questo governo, di questa classe dirigente e di questo presidente”.


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