PALERMO – Un pasticcio degno della peggiore gestione della cosa pubblica. La Procura regionale della Corte dei Conti non ha dubbi e cita a giudizio i protagonisti del progetto Spartacus.
Bisogna recuperare 35 milioni e mezzo di euro che, secondo l’accusa, sarebbero stati spesi male e senza rispettare le regole. Si dovranno difendere in un processo l’ex presidente della Regione, Rosario Crocetta, l’ex dirigente generale Anna Rosa Corsello e l’ex assessore regionale del Lavoro Ester Bonafede. A ciascuno di loro viene contestato un danno da 8 milioni e 262 mila euro. Cifra che scende a 885 mila euro ciascuno per gli ex assessori Nino Bartolotta, Luca Bianchi, Lucia Borsellino, Dario Cartabellotta, Mariella Lo Bello, Nicolò Marino, Nelli Scilabra, Michela Stancheris, Patrizia Valenti e Linda Vancheri. Stessa cifra per Egidio Ortisi, ex rappresentante legale del Ciapi di Priolo e l’ex direttrice Luciana Rallo.
Ci sono società regionali “in house” e affidamenti “in house”. Delle prime fanno parte ad esempio Sicilia e-Servizi (oggi Sicilia Digitale), Sas, Seus, Società Interporti e Riscossione Sicilia. Nelle società “in house” la Regione nomina propri rappresentanti. Poi, ci sono gli affidamenti “in house”, previsti quando un committente pubblico assegna direttamente un appalto a un altro ente pubblico in deroga all’obbligo di celebrare una gara. La condizioni, però, sono che la scelta “casalinga” sia conveniente per la pubblica amministrazione e non violi il principio della concorrenza.
Non sarebbe andato così nel 2013 per Ciapi di Priolo e la gestione del progetto Spartacus. Furono assunti 1760 dipendenti con contratti semestrali, tutti ex dipendenti degli “Sportelli multifunzionali” gestiti fino ad allora da una molteplicità di enti di formazione. Per ricevere gli ammortizzatori sociali passivi un lavoratore era obbligato a partecipare a percorsi di formazione e orientamento professionale.
Secondo il Nucleo di polizia tributaria della guardia di Finanza, delegata dalla Procura contabile guidata da Gianluca Albo, tra corsi “fantasma”, auto aggiornamento in casa, materiale didattico mai consegnato e un lungo elenco di persone che non avevano diritto di parteciparvi, il progetto sarebbe stato un bluff. Insomma, sarebbero stati bruciati 35 milioni di fondi comunitari. C’è un dato sottolineato dalla magistratura contabile: ogni singolo operatore in sei mesi ha formato appena 5,49 lavoratori. Gli ex sportellisti hanno sempre sostenuto, al contrario, di avere svolto regolarmente i compiti che gli sono stati affidati.
Il tema, però, va oltre il caso singolo. Secondo i pm contabili, l’ente a cui si affida un servizio in house deve essere in grado di svolgerlo con le proprie forze. L’apporto esterno con nuove assunzioni deve essere limitato. Ed invece a fronte di un organico di 22 dipendenti il Ciapi di Priolo assoldò 1753 persone in violazione dell’allora vigente blocco delle assunzioni. Numeri enormi che confermerebbero l’inadeguatezza dell’organico.
Ecco perché sarebbero stati traditi i principi di legalità, economicità e sana gestione finanziaria che si chiedono alla pubblica amministrazione. Secondo i pm di via Cordova, l’affidamento diretto “in house” in molte circostanze sarebbe stato uno strumento con il quale la politica, aggirando l’evidenza pubblica delle gare, ha svincolato le assunzioni dalle leggi.
“Per ovviare ad una grave situazione di emergenza che avrebbe comportato, da un lato, la perdita per la Regione Siciliana di ingenti somme di denaro provenienti dalla rimodulazione del cofinanziamento del Fondo sociale europeo – si legge nella citazione a giudizio – e, dall’altro, l’impossibilità che venissero erogati ammortizzatori sociali in deroga agli aventi diritto, l’amministrazione regionale decide di affidare al Ciapi di Priolo il servizio di politica attiva del lavoro, fino ad allora gestito dagli Sportelli Multifunzionali”. La conseguenza, si legge ancora, fu un “affidamento in house operato frettolosamente, e sostanzialmente al buio, senza alcuna pianificazione e senza alcuna valutazione di adeguatezza della struttura e di economicità dell’affidamento, rende, di per sé, ingiustificata l’allocazione delle risorse in house, spettando ai destinatari della contestazione dimostrare in concreto e specificatamente la ritenuta utilitas, nonostante la macroscopica violazione del regime derogatorio, e come tale di stretta interpretazione, che legittima il ricorso all’affidamento diretto”.
Le note difensive, consegnate per iscritto, non hanno convinto la Procura regionale della Corte dei Conti che scrive: “Tutti gli argomenti difensivi che giustificano l’operato dei destinatari dell’invito a dedurre, come una sorta di ‘necessità ineludibile’ per affrontare l’emergenza e/o come una sorta di ‘male minore’, a fronte dei numerosi vantaggi per la collettività (assunzione di 1800 persone che avevano perso il lavoro, erogazione di Politiche attive per il lavoro che permettevano agli aventi diritto di ricevere il sussidio di cassa integrazione in deroga, l’ulteriore erogazione di politiche attive per il lavoro alla collettività in genere, la mancata perdita di finanziamenti statali), non considerano che tale ‘necessità ineludibile’ e/o ‘male minore’ sono eziologicamente riconducibili alla improvvisazione e alla inescusabile negligenza funzionale di dirigenti e amministratori, e hanno comportato un reclutamento di massa dei lavoratori provenienti dagli enti di formazione professionale, i cui costi sono lesivi dell’Erario”.