“Fratel Biagio se ne sta andando con dolcezza”, sussurra qualcuno, nella spianata della Cittadella di via Decollati. Gli altri fanno di sì con la testa e mormorano, in risposta: “E’ vero”. Il tempo si sta consumando. Questo possiamo scrivere, con il massimo del rispetto, senza entrare nel dettaglio, mentre un uomo che ha la benedizione dell’amore di tutti è ancora qui, con noi.
Riuniti in un cerchio, ci sono Francesco Russo, il medico della Missione, Antonio Fulco, biologo che non ripartì più per la sua Basilicata, Roberto Garofalo, medico dell’Asp che coordina le cure palliative.
Più appartato, ecco don Pino Vitrano, roccia della comunità. Ha condiviso il percorso del missionario laico, lo ha sorretto, ha vissuto gli intensi momenti di gioia di un cammino, come quelli di sconfitta. “Questa mattina, c’erano i ragazzi del ‘Don Bosco’. “Gli ho chiesto: perché siete qui? – racconta don Pino –. Mi hanno risposto con parole di speranza e di fede”. Oggi, mercoledì undici gennaio, è stata un’altra giornata di preghiera, con visite continue al capezzale di Biagio Conte, come accade da quando la sua malattia si è aggravata.
Spunta un ragazzo. “Fadil, Fadil!”, è Francesco il medico che si stacca dal gruppo e lo abbraccia, stringendolo al petto. “Era arrivato dal Sudan e l’abbiamo ospitato – così si mette a fuoco il protagonista della storia, nelle parole di Francesco -. Poi, Fadil ha trovato casa e lavoro in Inghilterra, vicino Londra. In seguito, lui stesso ha ospitato Biagio, con immenso affetto, in uno dei suoi pellegrinaggi. Ora è tornato per riabbracciarlo, è venuto apposta dall’Inghilterra”. La commozione è palpabile.
Le occasioni di incontro sono due. A mezzogiorno c’è la Messa, celebrata da don Pino, con altri sacerdoti. Alle sei di pomeriggio, il rosario. Il colpo d’occhio, nella sera di Palermo, offre un panorama difficile da sintetizzare. C’è la tristezza del commiato non lontano, ma c’è pure un’emozione unica di condivisione e fraternità. La Missione è, insieme, fragile e forte. Colpita al cuore, eppure capace di trarre dalla ferita l’ideale stesso della sua esistenza. Fragilità e forza sono un impasto indistinguibile.
“Sono stato in Terra Santa – racconta Fabrizio Escheri -. Avevo visto Biagio a Natale, ancora poteva parlare, e mi ha chiesto un mucchietto di terra. Gliel’ho portato, l’ho messo tra le sue mani. Lo conosco e gli voglio bene da trent’anni, quello che accade non è semplice da accettare, ma c’è la fede che ci sostiene”. Fratel Biagio se ne sta andando con tenerezza. Il tempo si va consumando, mentre lui è qui, stasera, nella sua stanza alla Missione, cullato da una dolce brezza palermitana. Ma sarà l’addio di chi resterà per sempre. (Roberto Puglisi)