Fuoco e sangue fra i clan: "A Librino per scassarli tutti"

Fuoco e sangue fra Cappello e Cursoti: “A Librino per scassarli tutti”

Depositate le motivazioni della condanna di Salvatore Chisari

CATANIA – La condanna a sei anni di reclusione era giunta poco meno di un mese fa. Un ribaltamento della sentenza di primo grado che aveva assolto Salvatore Chisari dall’accusa di avere preso parte al gruppo di fuoco che l’8 agosto del 2020 aveva scatenato un inferno di proiettili che fece due vittime e diversi feriti. 

Nelle scorse ore sono state depositate le motivazioni di una sentenza della Corte d’assise d’appello alla quale si erano rivolti il procuratore aggiunto Ignazio Fonzo ed il sostituto Alessandro Sorrentino.

“Motivi abietti e futili”

La Corte ha ritenuto che nel movente della sparatoria fosse ravvisabile l’aggravante dei motivi abietti e futili in relazione alla figura di Chisari. Gli sviluppi del processo hanno consentito di accertare che i componenti del Clan Cappello organizzarono la spedizione punitiva contro il gruppo dei Cursoti milanesi quale azione per affermare la propria forza mafiosa in conseguenza di precedenti contrasti insorti tra le due organizzazioni criminali di stampo mafioso.

“Scassarli tutti”

Da parte sua, Salvatore Chisari, dichiarò che quando “Lombardo Salvuccio junior disse che dovevamo andare a cercare Distefano e il suo gruppo per scassarli tutti, non fece riferimento alla necessità di andare a prendere delle armi […] 

Ribadisco che io non ero armato e non so se qualcun altro nel gruppo lo fosse […] Nobile Gaetano mi disse che non avevano armi, anche se mi sembra strano che si sia andati al viale Grimaldi 18 senza essersi cautelati.

Quando il nostro gruppo è partito da Monte Pidocchio, ero perfettamente consapevole che stavamo andando alla ricerca dei Milanesi per dargli una lezione, ma non avevo assolutamente cognizione della presenza di armi da fuoco né mi immaginavo che l’epilogo potesse essere quello che poi realmente si è verificato”.

L’aggressione

La Corte d’assise d’appello ha ritenuto quindi che “Chisari, sebbene non facesse organicamente parte del clan Cappello, in ragione della sua vicinanza al cognato Gaetano Nobile e ad altri componenti del clan Cappello, era pienamente a conoscenza dei contrasti intercorrenti tra i Cappello ed in particolare dell’aggressione subita proprio da Nobile il giorno precedente”.

La partecipazione alla spedizione

Per i giudici, Chisari (che raggiunge la spedizione di fuoco diversi muniti dopo la loro partenza) giunge a San Giorgio e nei pressi della rotonda che si trova vicino la caserma dei carabinieri, nonostante percepisca che siano stati esplosi dei colpi d’arma da fuoco, “senza esitazione alcuna e senza desistere dalla propria condotta si è diretto verso quel punto, pronto, dunque a partecipare anch’egli insieme ai componenti dei Cappello alla programmata spedizione punitiva in danno dei Cursoti milanesi.

Tutto ciò fa senz’altro ritenere che il Chisari, contrariamente a quanto asserito in dibattimento, avesse la precisa volontà di arrivare sui suddetti luoghi per partecipare anch’egli alla spedizione punitiva”. 

Il dolo

Per la Corte, infine, “l’ipotesi del tentativo, mentre non è compatibile con il dolo eventuale lo è con quella particolare forma di dolo diretto che è il dolo alternativo”.


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