PALERMO – “Mi sento fallita sotto tutti i punti di vista, non ho più nessuno scopo. La mattina mi alzo e mi chiedo cosa farò”. Raffaella Ingrassia è colma di frustrazione. Nell’alluvione che affondò Giampilieri il primo ottobre 2009 causando la morte di 37 persone, lei perse due figli, Leo e Christian Maugeri, di 23 e 22 anni. E ancora oggi aspetta quantomeno un segnale. Specialmente dopo le promesse – fin qui vane – di Rosario Crocetta: il governatore si ritrovò tra le mani una lettera aperta della stessa signora Ingrassia, e assicurò che sarebbe intervenuto in prima persona. Adesso la donna vuole inchiodare il presidente alle sue promesse e lancia un nuovo appello.
“Non ho ricevuto nessuna risposta – racconta – Non so come fare per stuzzicare la sua curiosità”. Eppure fu proprio Crocetta a tendere la mano nel novembre 2012, durante la commemorazione della tragedia di Saponara: “Bisogna equiparare le vittime dell’alluvione alle vittime di mafia – dichiarò – Si deve fare qualcosa, assolutamente”.
Di questo intervento, però, non è giunta notizia. Il silenzio non fa altro che spargere sale sulle ferite. “Mi sento presa in giro da tutte le istituzioni – attacca la Ingrassia – Parlano solamente quando hanno qualcosa da chiedere in cambio. Si mettono in evidenza per ottenere ciò che vogliono ma poi siamo problemi banali. Una volta raggiunto il potere, queste persone dimenticano la parola responsabilità”.
Responsabilità. Come quella che, secondo Raffaella Ingrassia, gli indagati cercano di respingere. Già, perché questa vicenda porta con sé anche un processo. Partito da un’inchiesta con 18 indagati per omicidio colposo, 15 dei quali rinviati a giudizio. Secondo la donna, gli imputati “cercano la prescrizione con un disegno preordinato. Chi è colpevole non pagherà nulla. Sarò costretta a vederli camminare sul sangue di queste 37 vittime. Non è giusto”.
Difficile, adesso, attendersi un futuro roseo dopo una tanto dolorosa sequela di pie illusioni. “Più tempo passa e più si cade nel dimenticatoio – conclude – Il posto di lavoro mi interessa relativamente solo perché devo andare avanti, bisogna sopravvivere. Io non chiedo la scrivania, mi accontento di molto meno. Voglio qualcosa che penso mi spetti di diritto, non mi va di dire grazie a nessuno”.