La riforma della Giustizia è uno dei pezzi forti del capitolo riforme del Piano del governo per la spesa del Recovery Fund. L’Europa chiede che l’Italia cambi passo e l’opportunità arriva in uno dei momenti più difficili per la Giustizia italiana, scossa se non sconquassata da una lunga serie di scandali che hanno minato la fiducia nella magistratura dell’opinione pubblica. Ma forse non ci volevano il Palamara-gate, la fantomatica loggia Ungheria o magari la vicenda delle misure di prevenzione a Palermo per accendere una spia sulla giustizia italiana. Dai tempi smisurati del processi penali e civili alle somme monstre che ogni anno lo Stato paga per le ingiuste detenzioni, il quadro di un sistema da ripensare emerge con chiarezza a chi voglia osservare il fenomeno senza vestire i panni dell’ultrà. La ministra Marta Cartabia, giurista di chiara fama, si appresta a mettere le mani sulla patata bollente. E degno di nota appare il pacchetto d proposte in chiave garantista presentato dall’ex ministro Enrico Costa di Azione, il movimento liberale fondato da Carlo Calenda.
Un pacchetto che va dalla cancellazione “dello stop alla prescrizione di Bonafede” e prosegue con la prescrizione del processo troppo lungo, il diritto all’oblio per gli assolti, limiti all’uso del trojan, il dibattimento trasferito in un’altra sede se il processo mediatico compromette l’imparzialità dei giudici e diverse altre misure. Riusciranno a trovare i numeri in Parlamento? Le premesse non sono le più incoraggianti. “Sono basito di fronte ad alcune proposte – risponde Costa, deputato e responsabile Giustizia di Azione -. Ho chiesto con un emendamento di abolire la riforma della prescrizione di Bonafede (la norma nuova prevede che il reato no si possa mai prescrivere dopo la sentenza di primo grado, a prescindere dalla durata del resto del processo, ndr) e di farlo in modo chiaro e limpido. Ci sono delle forze politiche che hanno proposto degli escamotage incomprensibili, come lo sconto di pena del condannato di fronte alla irragionevole durata del processo”.
Come sta la Giustizia in Italia, onorevole Costa?
“Ha un grande problema di credibilità, un grande problema strutturale e di immagine, E una seria responsabilità la do alla politica che negli anni non solo non ha riformato ma ha usato la politica come una clava per abbattere l’avversario politico. I garantisti senza se e senza ma si contano sulle dita di una mano”.
C’è stata in questi anni una sorta di ‘delega’ dal potere politico a quello giudiziario?
“Una delega anche nel ruolo di moralizzare, ad avere un approccio culturale, a stabilire una linea sull’ambiente o su un altro tema qualsiasi. Una delega che arriva lì dove c’è la debolezza politica. Molte volte abbiamo visto la giurisprudenza capovolgere lo spirito delle norme”.
Voi proponete di superare il “fine processo mai” e l’idea che se il processo dura troppo si estingue.
“Sì, da una parte c’è la prescrizione del reato, dall’altra la prescrizione del processo Che deve avere un tempo che sia contenuto, oltre quel tempo si estingue il processo. Lo Stato ha il dovere di rendere giustizia e la deve rendere entro determinati tempi e i cittadini devono sapere quali sono gli effetti dell’avere sforato quei limiti. Oggi i fascicoli restano nei cassetti delle indagini preliminari e non succede niente, Si era prevista l’avocazione se il pm dorme. L’Anm era contraria. Il legislatore lo ha approvato lo stesso. Sa quante avocazioni ci sono state? 105 nel 2019 e 65 nel 2020. Si è deciso in pratica di non applicare una norma di legge”.
E forse a questo punto sarebbe opportuno ricordare in che misura i processi si prescrivono nella fase delle indagini preliminari, al di là della storiella dell’avvocato “bravo” a far prescrivere il reato.
“Nel 2020 ci sono state oltre 43mila prescrizioni nella fase delle indagini preliminari. A fronte di 65 avocazioni”.
Quanto dovrebbe durare il processo al massimo secondo i vostri emendamenti?
“Tre anni il primo grado, due il secondo, uno in cassazione, per tutti i reati tranne quelli gravissimi di mafia o terrorismo. È data la possibilità di un aumento di un quarto in caso di processo complesso. Stessa cosa nelle indagini preliminari: se entro il termine doppio della durata delle indagini non si è deciso se processare si estingue il procedimento”.
Volete cambiare anche la regola sul rinvio a giudizio. Quanti gup archiviano in udienza preliminare?
“Sono pochissimi, si possono contare nei termini di poche centinaia. Noi abbiamo invece un numero di centoventimila assolti in primo grado ogni anno. Significa che le citazioni dirette a giudizio e le udienze preliminari portano spesso i casi morti in tribunale, casi in cui non c’è nessuna possibilità di arrivare a una condanna. Noi vogliamo collegare i casi di assoluzione nelle valutazioni di professionalità del gup”.
Come vanno al momento le valutazioni di professionalità dei magistrati?
“Novantasette, novantotto per cento di valutazioni positive, restano fuori più o meno solo quelli che hanno azione disciplinare in corso”.
Altra vostra proposta è l’interrogatorio prima della misura cautelare.
“Voglio avanzare uno spunto di riflessione che parte da questo. In moltissime circostanze abbiamo misure cautelari che durano alcuni giorni e cessano perché in sostanza c’è stato un chiarimento nell’interrogatorio.. Io penso che nella vita di una persona ci sia una fase ante e post restrizione. E dico ma che senso ha arrivare a un arresto di una persona e dopo 5 giorni liberarla? Allora, salvo determinate circostanze, dal pericolo di fuga al reato particolarmente grave, ci sono molte situazioni in cui si potrebbe prima dell’applicazione della misura sentire la persona in contraddittorio”.
Proponete anche limitazioni sulla possibilità di scrivere delle indagini. Non pensa che ci sia un rischio di bavaglio per i giornalisti e soprattutto una limitazione della libertà di stampa?
“Penso solo che gli atti giudiziari non sono fatti per riempire pagine di giornali”.