Guerra di mafia a Porta Nuova, sventati 4 omicidi | Era pronta la vendetta per l'omicidio Di Giacomo - Live Sicilia

Guerra di mafia a Porta Nuova, sventati 4 omicidi | Era pronta la vendetta per l’omicidio Di Giacomo

di RICCARDO LO VERSO Giovanni Di Giacomo, mafioso storico e fratello dell'uomo freddato in via dell'Emiro il 12 marzo, avrebbe coinvolto un altro suo fratello, Marcello, nel progetto di eliminare coloro i quali riteneva fossero i mandanti del delitto: Onofrio ed Emanuele Lipari. La conferma del piano di morte arrivò in carcere via fax. I carabinieri hanno eseguito otto arresti (LEGGI I NOMI). In cella capi storici come Tommaso Lo Presti e Nunzio Milano, due degli scarcerati eccellenti.

PALERMO – La reazione doveva essere feroce. Come feroce era stato l’omicidio di Giuseppe Di Giacomo. Il fratello Giovanni, mafioso storico di Porta Nuova ed ergastolano, avrebbe coinvolto un altro suo fratello, Marcello, nel progetto di eliminare coloro i quali riteneva fossero i mandanti del delitto: Onofrio ed Emanuele Lipari.

Il 17 aprile, due giorni fa, in carcere Giovanni Di Giacomo riceve un telegramma. Il mittente è Marcello: “Caro Gianni la salute del bambino tutto bene in unico abbraccio ti vogliamo bene”. Secondo i carabinieri del Nucleo investigativo del comando provinciale dei catrabinieri, altro non era che la comunicazione dell’imminente esecuzione del piano di morte. Da qui l’urgenza dell’intervento dei militari che hanno fermato otto persone. Cinque di loro erano da poco tornate in libertà: Tommaso Lo Presti, classe 1975, detto ‘il pacchione’, Emanuele Vittorio ed Onofrio Lipari, Salvatore Gioeli e Nunzio Milano. Completano l’elenco dei fermati Marcello Di Giacomo, Stefano Comandè e Francesco Zizza.

Dopo l’arresto di Alessandro D’Ambrogio, leader del mandamento di Porta Nuova, Di Giacomo aveva scalato le posizioni di potere forte della parentela con il fratello, killer ergastolano del gruppo di fuoco di Pippo Calò. Che Di Giacomo fosse il nuovo reggente emergerebbe dalle intercettazioni in carcere con il fratello prima di essere ammazzato. I due parlavano dei soldi per gli stipendi degli affiliati: “… allora… ti dico una cosa a quello nostro… gli devo mettere… ogni mese si devono mettere undici e cinque”. Giuseppe Di Giacomo faceva i conti, spettava a lui accollarsi l’onere di non fare mancare nulla a boss e picciotti. Il fratello Giovanni era stato chiaro: “… a te ti abbiamo fatto noi altri (i boss detenuti, ndr) a lui (secondo i carabinieri, sta parlando di Gregorio Di Giovanni anche lui finito in cella da tempo, ndr) chi l’ha fatto il Nicchi?!… e chi l’ha autorizzato.. e questi sono tutti abusivi sono… ricordatelo…”. Dunque, sarebbe arrivata dal carcere l’investitura dell’uomo che sarebbe stato crivellato di colpi.

Giuseppe Di Giacomo nei mesi alla reggenza non ha mai fatto venire meno il suo impegno. Eppure erano nati malumori, talmente forti che a metà marzo è stato assassinato in via Eugenio l’Emiro alla Zisa. Giovanni e Marcello Lipari iniziarono a sospettare. Non gli era piaciuto l’atteggiamento dei Lipari, ritenuto “troppo distante”. I Lipari, padre e figlio, volevano prendersi “il pannello”, e cioè gli incassi delle sale scommesse della vittima. E così scattò la reazione. Giovanni Di Giacomo ordinò al fratello di riferire a Tommaso Lo Presti, che nel frattempo era tornato a comandare, di uccidere i Lipari: “… si preparano fanno l’appuntamento e mentre c’è il discorso fanno bum bum e s’ammogghia tutto”. Dunque, secondo i Di Giacomo, erano i Lipari gli autori del delitto del fratello. Per un attimo si era sospettato che fosse stato Nunzio Milano. La sua assenza al funerale era stata notata, ma alla fine il boss era stato convincente nelle sue giustificazioni.

I Lipari non erano gli unici a dovere essere uccisi. Una condanna a morte pesava sul capo di Luigi Salerno, ma siamo nei mesi precedenti al delitto di Giuseppe Di Giacomo. L’omicidio di Salerno doveva servire da esempio per tutti. Era stato un egoista e i fratelli Di Giacomo, Giovanni e Giuseppe, lo volevano morto affinché tutti si rendessero conto che dopo l’arresto di Alessandro D’Ambrogio il nuovo corso sarebbe stato più autoritario. Lo dovevano ammazzare “senza scruscio…. un sacco… battitilo sempre in capo… l’importante è che lo dovete avvruricare (seppellire)… gli togliete i vestiti e le scarpe”. E doveva morire pure Giuseppe Dainotti, un altro picciotto che a breve sarebbe stato scarcerato.

“Era necessario intervenire – ha detto Pierangelo Iannotti, comandante provinciale dei carabinieri di Palermo -. Abbiamo dovuto eseguire i provvedimenti di fermo perché l’ordine era già stato impartito. Un ordine esecutivo. Non c’era tempo da perdere. E’ stata una grande risposta da parta dell’Arma dei carabinieri “.


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