Le chiacchiere alla cassa del supermercato, adesso, a Palermo, sono come sospese tra i blocchi che dovrebbero finire e la guerra che ha avuto inizio in Ucraina. I primi vengono vissuti come un evento più concreto, più vicino e si compulsano i telefonini per saperne di più: “Si sono messi d’accordo”. “Chissà”. “Ma sì, ti dico di sì”. La seconda viene raccontata in una specie di rarefazione. E chi se la ricorda una vera guerra, con la paura che possa non essere troppo distante dalle nostre malsicure fortezze? Sì, l’Afghanistan. Sì, l’Iraq. Prospettive differenti. E perfino il Kosovo, labile nella memoria, sembra un’altra fattispecie. Stavolta è una superpotenza che mostra i muscoli, nel cuore dell’Europa. “E quando ci sono di mezzo le superpotenze, caro mio – spiega un uomo con i capelli brizzolati, in coda, che ha tutta l’aria di essere un professore in pensione – si sa come si comincia, ma non come si finisce”.
Anche questa somiglia a una serata sospesa, in un giovedì sospeso, con i primi odori della ventura primavera a fare capolino, ogni volta che scivolano le porte scorrevoli. Non sai da che parte voltarti, per scansare il peggio. L’aria di tutti è ironica-rassegnata: il Covid e la crisi bellica. Allora che possiamo fare, se non sorridere e sperare nel numero buono? L’uomo che affetta i salumi, invece, è arrabbiatissimo: “Il caro bollette, il costo della vita e ora vedremo a quanto arriveranno il gas e la benzina. Dovremmo andare a Roma, in massa, a manifestare. Non si campa più. Non ce la facciamo più. Nié, noi italiani non siamo cosa di protestare. Ci danno il calcio e zitti”. E affetta, questo amico dei suoi clienti, cortese e affabile, come se stesse prendendo a cazzotti qualcuno, per la rabbia.
Ecco che la guerra si materializza nelle chiacchiere delle lunghe file, in attesa di pagare, accanto a molti scaffali disabitati. Mancano frutta e verdura, scarseggia l’acqua come la carne, si diradano le scatolette. Ma è impossibile stabilire quanto sia per l’agitazione o per l’inizio di spese più robuste, a causa dei venti tragici che spirano da Kiev. Il conflitto, quale che sia, si riflette nella zucchina che latita, nel pieno che sarà fatto domani, nella precarietà di un’epoca in cui ognuno si sente fragilissimo. Solo qualcuno parla dei bambini e delle loro vite bombardate. Ma non è indifferenza, è che chiunque, ormai, scava e resiste nella sua personale trincea.
Il mondo là fuori, nel frattempo, non sta fermo. C’è pure la Sicilia nella scacchiera del gioco grande. C’è Sigonella da tenere d’occhio. Comunque, a prescindere dalla strategia militare, noi siamo parte dei pezzi che vengono posizionati dalle mani di chi se lo può permettere. C’è un galantuomo palermitano al Quirinale che ieri è stato costretto a presidiare il consiglio supremo di difesa. E sono state pronunciate parole formali contro l’invasione russa con toni ultimativi di condanna. Né avrebbe potuto essere diversamente.
Eppure, tutto resta sospeso, in questa serata dolcissima che vorrebbe già chiamarsi primavera. Nelle narrazioni del supermercato U’ Biden e U’ Putin sono semplicemente gli eterni contendenti di un’Opera dei Pupi in cui, alla fine, nessuno si fa davvero male. “Vedrai che si mettono d’accordo, cane non mangia cane”. E’ questo l’auspicio delle voci in bilico, tra i carrelli di Palermo che si affollano e i bambini di Kiev che hanno imparato a strisciare tra i reticolati, per non morire.