"Ho il diritto di rifarmi una vita" - Live Sicilia

“Ho il diritto di rifarmi una vita”

Cavallaro intervista Riina junior
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4 min di lettura

(Dal Corriere della Sera) CORLEONE.  Intanto, sembra di parlare con il suo avvocato. Per la precisione del linguaggio, per il garbo, per l’attenzione a sfumature e congiuntivi. Lontano mille miglia dall’idioma paterno impastato di un siculo-italiano alla Camilleri. Niente da vedere con l’aria del contadino dimesso offerta da Totò Riina per il terzogenito del padrino, Salvuccio, 34 anni, appena uscito dal carcere di Voghera.

Sembra di parlare col suo avvocato e, invece, eccolo solo a Corleone, sotto casa di mamma Ninetta, in via Scorsone, pronto per andare al commissariato di polizia, attraversando stradine dove nessuno s’aspetta di vedere Salvuccio, dato dai giornali in arrivo a Padova. E invece è tornato. Senza che nessuno sapesse. Nemmeno lui che, dopo la mediazione del suo avvocato, aveva accettato di buon grado l’offerta di un lavoro da impiegato in una Onlus padovana. Ma un vecchio provvedimento impone il passaggio e la firma al commissariato di Corleone. E lui ha preso un aereo. Anonimo e non riconosciuto all’arrivo al «Falcone e Borsellino». Poi, l’abbraccio con i cognati e i curvoni della strada ripercorsa dopo tanti anni, sempre zeppa di fossi e avallamenti, con o senza i Riina.

E adesso? Adesso che il sindaco di Corleone, appresa la notizia, la dichiara «persona non gradita»? Adesso che il governatore del Veneto chiede di non farla andare a Padova perché non vuole più «delinquenti importati da fuori»? «Adesso, dopo 8 anni e 10 mesi sono un uomo libero. Un uomo che ha studiato, si è diplomato, studia all’università e vuole vivere la sua vita da cittadino di questo Stato riprendendo a lavorare, come è diritto di chi ha pagato il suo conto, come vorrei ricordare a quanti richiamano sempre le regole e le norme della Costituzione».

Forse continuano a rimproverare a lei condannato per mafia e alla sua famiglia un conto aperto con lo Stato e il popolo italiano.
«Chi ha pagato ha diritto o no in questo Paese di rifarsi una vita, anzi a riprendersi quanto, a torto o a ragione, gli hanno tolto?».

Che cosa le avrebbero tolto?
«Parlo del lavoro che mi hanno impedito di svolgere. Con provvedimenti amministrativi che non capirò mai. Io facevo il rappresentante, vendevo macchine agricole, qui a Corleone».

L’hanno anche accusata di ricostruire un clan mafioso.
«Per le accuse a torto o ragione mosse, ho pagato. Resta il fatto che il mio lavoro non era un reato. Eppure si decise con le carte bollate che io non potevo, che dovevo chiudere per colpa di un cognome».

L’avverte come un marchio?
«Rischia di diventarlo. Ma anche questo è fuori dalla regole del Paese, dello Stato».

Qualcuno si sorprenderà a sentir invocare lo Stato al figlio di Riina.
«Può sorprendersi chi si lascia condizionare da cronache di giornali e rappresentazioni di storie spesso inventate, senza alcun riferimento alla realtà, a quello che ognuno di noi pensa».

Dica che cosa è lo Stato per lei.
«Dico che la Costituzione prevede non il recupero, ma il reinserimento degli ex detenuti. E’ stata Francesca Casarotto, il mio avvocato, a stabilire contatti con i dirigenti della Onlus di Padova. Non debbo andarci perché i leghisti e il governatore Zaia non vogliono? Beh, ditemi dove andare. Io nemmeno a Corleone volevo tornare».

Il sindaco dice che la gente non vuol vederla in giro per Corleone.
«Veramente non mi è sembrato. Ma io non faccio niente per restare. Sarei andato direttamente e volentieri a Padova se non mi avessero detto che avevo l’obbligo di firmare qui al commissariato. E visto che è un obbligo io lo rispetto, lo osservo. Ma ci sarà la libertà di vivere e lavorare da qualche parte. Non mi vogliono qui, non mi vogliono lì, al Sud, al Nord… Non è questo lo spirito della Costituzione, bisognerebbe ricordare a sindaci e governatori».

Molti hanno paura che lei a Corleone riannodi dei fili mafiosi…
«So che non posso sbagliare. E non sbaglierò. Ma uno per non sbagliare deve essere messo nelle condizioni di vivere, di lavorare. Per tutto questo io sono pronto a ricominciare lontano dal mio paese, dalle mie sorelle, dalla casa dove vive mia madre…».

Dalla casa in cui è rimasto l’unico maschio.
«Lo vede che l’ha capito…».

Condizione di maggiore rischio.
«Nessun rischio ma io sono pronto ad andare ovunque. Pur di non essere perseguitato. Anche da voi giornalisti».

Cosa dice sua madre?
«Posso solo dire che è commossa. Chi è figlio o ha un figlio sa quanta commozione può esserci dopo un ritorno».

Riesce a rivedere come un orrore la storia della sua famiglia, di suo padre, gli anni della latitanza…?
«Dico solo che io ho pagato e voglio lavorare. Per il resto, se mi daranno il permesso, vorrei rivedere mio padre. E andare a trovare in carcere mio fratello Giovanni. Io lo chiederò, secondo le regole».

C’è sempre la regola del 41 bis, dei vetri blindati.
«Attenderò. Ma le regole dovrebbero consentire a un figlio di rivedere il padre, a un uomo di riabbracciare il fratello».

E salta su una Golf marrone, dopo la prima notte a casa, asciutto e sereno, allegro e forbito. Un figurino. Scarpe rosse come la polo griffata, manica lunga, rifiniture bianche e blu. Occhiali Rayban con montatura nera e filo azzurro. Orologio con cinghietta gialla. Un ragazzo come tanti. In apparenza. Ma con un documento giudiziario arrotolato a mo’ di pergamena. Necessario per la prima firma in commissariato.


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