I Cinque minuti del capo | M5s, l’ipocrisia di Di Maio - Live Sicilia

I Cinque minuti del capo | M5s, l’ipocrisia di Di Maio

Il leader grillino scarica il sindaco di Bagheria: da 2 anni non governiamo. Quante bugie.

L’EDITORIALE
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3 min di lettura

Se al capo prendono i Cinque minuti ti sbatte fuori. Anzi. Ti sospende, ti mette in freezer come le fette di carne che possono tornare, un giorno, buone a sistemare un pranzo.

È l’ipocrisia di Luigi Di Maio e di chi come lui – ieri sera ad esempio lo stesso ha fatto Manlio Di Stefano – all’occorrenza e a convenienza- sacrificano storie e persone sull’altare di una retorica giacobina a intermittenza.

Adesso scopriamo persino, dalle parole del capo politico del Movimento cinque stelle Luigi Di Maio che Patrizio Cinque da due anni non è uno di loro. Che da due anni Bagheria è governata da una giunta senza stelle e che lì non si può parlare di Comune “perso” perché non era in mano a loro.

Quante bugie. Quanta plateale, persino fastidiosa ipocrisia. Anche per chi ha scritto delle vicende giudiziarie del sindaco Patrizio Cinque con lo spirito di chi ha sempre presente che una indagine non è mai una sentenza, che una inchiesta punta a chiarire, non porta con se’ una verità già definita.

Ma Cinque, dopo quelle notizie, è stato “autosospeso”. Una baggianata, ingurgitabile solo da chi può inghiottire qualsiasi cosa. Che significa “autosospeso”? Se il problema è giudiziario, il giorno in cui Cinque dovesse essere scagionato da qualsiasi accusa allora si tornerà a issare la sua bandiera rimangiandosi quanto è stato detto in questi giorni? Si dirà che Cinque è sempre stato dei Cinquestelle in fondo e si ricorderanno le intercettazioni di qualcuno che lo definiva “inavvicinabile dalla mafia”? Oppure l’autosospensione ha solo una radice politica? In quel caso avrebbero influito le contraddizioni sui temi dell’abusivismo o dell’ambientalismo col caso dell’acquisto di un ecomostro? Anche qui però i conti non tornano. Perché la candidata sindaco a Bagheria per il Movimento è un assessore di Patrizio Cinque e ne rappresenta la continuità. La continuità di un progetto che non si è mai arrestato, nonostante i risibili distinguo dei big grillini. Lo dicono gli stessi Cinquestelle all’Ars, come il deputato Luigi Sunseri che coraggiosamente (metti che al capo vengono i Cinque minuti…) smentisce apertamente Di Maio: “Ma quando mai, abbiamo governato fino all’ultimo, e pure bene” ha detto in sostanza. Nelle stesse ore, con un lungo post sui social network, l’eurodeputato Ignazio Corrao esprimeva la sua solidarietà nei confronti dell’amico Patrizio e rivendicava, al netto di qualche errore, il buon governo della città di Bagheria.

E del resto, quelli di Sunseri, di Corrao e di tanti militanti, sono un rigurgito di verità, di realtà. Una rinfrescante brezza sulla retorica orwelliana del Movimento. Del resto, come dimostrano decine di foto (ve ne mostriamo alcune) Cinque è stato al fianco della candidata grillina per tutta la campagna elettorale, sempre lì, presente e attivo. Altro che autosospeso. Ma da cosa? Basta con questa stupidaggine che era già parsa evidente per altri “autosospesi” come gli ex deputati Giorgio Ciaccio e Claudia La Rocca, finiti dentro l’inchiesta per le “firme false” ma oggi dentro gli uffici dell’Ars gestiti dagli stessi Cinquestelle. Giustamente. Perché innocenti, oggi. Quindi col pieno diritto di definirsi “grillini” nonostante le ipocrisie dei vertici.

Ipocrisie che però oggi appaiono evidenti agli stessi militanti e rappresentanti Cinquestelle. Finalmente, verrebbe da dire. Perché i Cinque minuti del capo sono solo il frutto di una impostazione condivisa da tanti che oggi giustamente protestano o fanno emergere i propri lamenti. Anche di fronte ad altre contraddizioni: perché Cinque è considerato un reprobo per una inchiesta e lo stesso non è avvenuto per Virginia Raggi (solo per fare un esempio?). Le stesse contraddizioni che irrigano l’alleanza con la Lega dove si chiede l’allontanamento di un sottosegretario indagato dopo aver accettato serenamente la sua nomina nonostante un patteggiamento per bancarotta.

Alla ricerca affannosa di una purezza perduta, come è normale che sia, di fronte alle tante difficoltà che comporta l’amministrazione, cioè la realtà. Ma quella tanto sbandierata da Di Maio non è purezza, è vigliaccheria politica. È solo ipocrisia mettere da parte un indagato per Cinque minuti, giusto il tempo di poter dire: “Io non c’ero e se c’ero dormivo”. Ma questo non è un capo.

> Alcune foto della campagna elettorale

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