I conflitti internazionali, il ruolo delle Università di ponte per la pace

I conflitti internazionali e il ruolo delle Università di ‘ponte per la pace’

Gli atenei hanno il compito di educare al pensiero critico

Negli ultimi giorni alcune Università italiane sono state teatro di manifestazioni studentesche per la Palestina, volte a condannare l’invasione israeliana di Gaza e a chiedere l’immediato cessate il fuoco e la fornitura di aiuti umanitari. Le manifestazioni hanno avuto toni particolarmente accesi a Napoli dove è stato annullato un dibattito alla presenza del direttore di Repubblica, a Bologna dove si sono verificati anche scontri con la polizia, e a Torino. Qui gli studenti hanno chiesto lo stop agli accordi di cooperazione tra l’Ateneo piemontese e Israele ed ottenuto che il Senato Accademico approvasse una mozione con cui l’Università di Torino rifiuta la partecipazione ad un bando di collaborazione scientifica con gli Atenei israeliani.

L’appello degli accademici

Le manifestazioni studentesche riprendono, nei fatti, l’appello che più di quattromila accademici (professori e ricercatori delle Università italiane) hanno sottoscritto alcuni mesi fa in cui chiedevano da una parte “di ribadire l’impegno per la libertà di parola e garantire il diritto degli studenti e delle studentesse delle Università italiane al dibattito e di favorire momenti di dibattito e di discussione all’interno degli Atenei”; dall’altra “di pronunciarsi con chiarezza sulla necessità da parte dei singoli Atenei italiani di procedere con l’interruzione immediata delle collaborazioni con istituzioni universitarie e di ricerca israeliane fino a quando non sarà ripristinato il rispetto del diritto internazionale ed umanitario”. 

L’educazione al “pensiero critico”

Giustissima la prima parte, pericolosa la seconda. Le Università hanno certamente il compito di educare al pensiero critico, di incoraggiare alla riflessione, di fornire agli studenti tutte le conoscenze e gli strumenti per comprendere ed analizzare situazioni storiche e politiche così complesse come quella che stiamo vivendo. Le Università devono favorire la discussione laica ed accademica (nel senso più elevato del termine), distaccandosi nettamente da altri contesti in cui esse vengono affrontate esclusivamente sulla base di slogan urlati da fazioni senza alcun approfondimento culturale e scientifico.

No all’oscurantismo culturale

Molto discutibile, anzi a mio avviso sbagliato, è invece l’appello allo stop immediato delle collaborazioni (tutte!) con le istituzioni universitarie e di ricerca israeliane. Per sgomberare subito il campo da equivoci, mi sembra di ritornare alle prime fasi dell’invasione russa dell’Ucraina, in cui si negava la possibilità di tenere seminari su Dostoevskij o di programmare opere teatrali di artisti russi. In tutti i casi sono fenomeni di oscurantismo culturale che producono soltanto chiusura ed impediscono alla cultura ed alla ricerca di svolgere il loro ruolo di Bridge for Peace.

Cosa dice la Costituzione

Certamente, nel rispetto della nostra Costituzione, che all’art. 11 impegna tutti i cittadini italiani a “ripudiare la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, si devono fermare eventuali collaborazioni in ambito tecnologico con evidenti finalità militari. Ma, davvero, non si comprende per quali ragioni medici, agronomi o biotecnologi debbano vedere interrotta la loro possibilità di collaborazione. Al contrario le Università devono continuare ad essere aree di confronto e di interazione scientifica tra studiosi di tutti i paesi, indipendentemente dalle discutibilissime ed improvvide scelte politiche dei loro governanti. Le Università possono e devono continuare ad essere agenti di diplomazia scientifica e culturale. Le Università devono creare relazioni, rapporti di collaborazione, di fiducia, volti alla costruzione di relazioni pacifiche tra popoli.

Il programma “Prima”

Mi piace ricordare in tal senso il Programma PRIMA – Partnership for Research&Innovation in the Mediterranean Area, finanziato a valere su Horizon 2020 – in cui 19 paesi dell’Area del Mediterraneo tra cui l’Italia, ma anche Israele, Libano, Giordania ed Egitto si sono impegnati a promuovere l’integrazione dei rispettivi programmi di ricerca nel settore della sicurezza agro-alimentare e della lotta al cambiamento climatico ed alla siccità. Mi piace anche ricordare le collaborazioni promosse negli anni del mio mandato rettorale con alcune Università israeliane, ma anche con Università palestinesi in Cisgiordania, anche se, purtroppo, con grandi difficoltà correlate alla concessione dei visti da parte delle autorità israeliane.

Niente pace senza visione sul futuro

Parlare oggi di pace in Medio Oriente appare velleitario ed illusorio. Le difficoltà appaiono insormontabili, non solo per la drammaticità della strage in corso a Gaza, ma anche per la mancanza di visione sul futuro che sembra caratterizzare i governi e le organizzazioni sovranazionali. La pace si costruisce solo con il rispetto, la fiducia e la comprensione reciproca, assicurando a tutti la possibilità di crescere socialmente ed economicamente. In questo senso dovrebbe impegnarsi l’Europa, riconoscendo altresì il ruolo della Cultura quale Bridge for Peace e sostenendo le Università e le loro iniziative di dialogo e collaborazione.

*L’autore è componente dell’Esecutivo siciliano di Italia viva


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