PALERMO- Povero tifoso rosanero, condannato a non parlare di pallone e adesso infilato nel freezer di un’altra attesa. Fa caldo, ma il brivido lungo la schiena è gelido. Povero tifoso rosanero che – nonostante tutte le rassicurazioni a cui si offre volentieri ascolto, perché si vuole credere, essendo la fede l’ultimo appiglio della paura – ancora una volta si trova precipitato nell’incubo di un altro funerale delle bandiere, di una morte sportiva che sarebbe la decapitazione degli ultimi sogni. E dovrà aspettare le decisioni degli organismi federali che non contemplano il calendario delle emozioni. E conterà i giorni. E sfoglierà la margherita, sperando, fortemente sperando, che non si trasformi in crisantemo.
Siamo tutti appesi, maledettamente, a parole che nulla più recano dell’odore del prato. Oggi ‘fideiussione’. Ieri ‘closing’. E noi vorremmo invece ‘gol’, ‘palo’, ‘arbitrocuinnu…’ (no, magari questa no).
Agogneremmo cioè il linguaggio pastoso e sboccato che riempie il cuore e che è un diritto di tutti gli appassionati. Riportateci in un campo di calcio. Ridateci il ghiaccioloallarancia che ha u’ sapurirugol. Metteteci intorno il bel silenzio dello stadio, quando la musica non c’era e si sentiva, appena appena, l’eco della voce del tizio due gradoni più sotto. Riconsegnateci il rito della partita con gruppi umani che, festosi, eseguono scaramanzie, bevono il caffè sempre nello stesso bar, salgono le scale, assaporando ogni istante. Perché noi apparteniamo davvero ai momenti che compongono una bizzarra eppure magnifica eternità. Invece no. Stamattina i social sono una terra desolata di rabbie, tremori e risentimenti.
Chi se la prende, perché ritiene, preventivamente, che la storia andrà a finire male. Chi si impegna a sollevare spiragli di salvezza pesanti come macigni. Chi si esercita nella pratica di un disinteresse contraddetto da visibilissimi battiti rosanero. Chi esprime una certa malcelata soddisfazione con le alucce da gufo aperte: avete visto? A Palermo va a finire sempre malissimo.
Tuttavia, gente tanto diversa e tanto simile condivide lo stesso orizzonte e adesso soffre, immaginandolo compromesso. E ci mettiamo dentro chiunque, pure quelli che raccontano ma non sono mai stati indifferenti. Noi vogliamo il sabato, o la domenica, allo stadio. Ci basta poco per perdonare a questa città e a noi stessi tutti i peccati, tutte le brutture.
Eravamo in curva sotto la pioggia quando Nuccio segnò in rovesciata alla Juve Stabia. Eravamo sempre lì, quando Berti scappò come un bimbo felice dalla sua porta e si mise a giocare con gli altri e quando Vasari infilò la rete della Pistoiese e stava cadendo il cielo. Noi, loro, essi. E’ sufficiente un pallone che rotola per essere felici a Palermo. Per favore, non tagliatelo.