Poche settimane fa ho visitato la casa-museo Padre Puglisi, gestita dai volontari del Centro Padre nostro e ho avuto un colloquio con una collaboratrice di Puglisi, che ricordava il suo insediamento in parrocchia, la sua difficoltà nel fare studiare i ragazzi e nel reperire il materiale scolastico necessario al doposcuola. Raccontava come riciclassero i quaderni usati che ricevevano in dono. E mi stupivo, ancora una volta, come questo piccolo prete di periferia fosse arrivato a impensierire l’organizzazione criminale allora più potente d’Europa.
Puglisi è stato per tutta la sua vita un oscuro prete di frontiera, ma non è stato un ingenuo. Alcuni, anche tra coloro che credevano di conoscerlo e in recenti pubblicazioni, hanno rischiato di dipingerlo come una sorta di don Chisciotte, morto quasi per una casualità, perché non aveva capito bene con chi avesse a che fare ed era andato allo sbaraglio.
Puglisi è stato un prete vittima di un progetto criminoso, di una vera e propria congiura del male. Cosa nostra, infatti, non uccide mai a cuor leggero, ma solo quando lo ritiene necessario. Quando ritiene non vi sia altro mezzo per ottenere i suoi scopi. I mafiosi sono esseri razionali e come tali vanno considerati. Prima cercano di avvicinare, di persuadere, di comprare. I mafiosi avevano i loro infiltrati dentro la parrocchia, che spiavano le mosse del parroco e tentavano di condizionarlo. È solo quando il tentativo di avvicinamento, fino alla corruzione, sia fallito che iniziano gli avvertimenti, le minacce, le intimidazioni sempre più pesanti.
Per capire le ragioni del delitto Puglisi, ascoltiamo le parole del capo di Cosa nostra. Nelle recenti intercettazioni in carcere, Salvatore Riina ha dimostrato tutto il suo disprezzo verso il prete di Brancaccio: “Voleva comandare iddu. Ma tu fatti il parrino, pensa alle messe, lasciali stare… il territorio… il campo… la chiesa… Lo vedete cosa voleva fare? Tutte cose voleva fare iddu nel territorio… tutto voleva fare iddu, cose che non ci credete” (N. Di Matteo, Collusi, p. 65).
L’accusa del capomafia era chiara: Puglisi aveva travalicato in confini entro cui, secondo la mafia, deve muoversi un parroco. In tal modo Riina giustificava l’uccisione di un religioso, il quale riteneva lo riguardasse “tutto” quanto toccava la vita della sua comunità. Lo riguardavano gli anziani soli in casa, lo interessavano i carcerati, lo riguardava che non ci fosse una scuola media per i bambini, lo riguardava che la mafia controllasse il mercato immobiliare. “Tutto voleva”, dice Totò Riina. Nulla gli era estraneo delle gioie, delle speranze e delle angosce del suo popolo.
Mi sembra che vi sia qui qualcosa di decisivo.
Puglisi non voleva fare della sua parrocchia un baluardo antimafia, una specie di fortino degli onesti in un territorio ostile. Non rinunciava alla denuncia su quanto c’era da cambiare, ma il suo scopo era una chiesa in uscita, diremmo oggi con un’espressione resa familiare da Papa Francesco. Il suo stile era la simpatia, l’incontro, l’interesse per tutto quanto riguardava la vita della gente. In quest’ottica, in quest’estroversione della comunità ecclesiale che sapeva farsi carico anche dei problemi della società civile, trovano spiegazione tante iniziative sociali di padre Puglisi.
Recentemente uno scrittore, Sandro Veronesi, ha pubblicato un libro sul Vangelo di Marco. Altri libri suggerirei sui vangeli, però Veronesi mi ha colpito perché, quando ha motivato le ragioni del suo interessarsi, lui non credente, al vangelo di Marco, ha scritto: “La prima ragione si chiama entusiasmo, dato che per me il Vangelo di Marco è un testo letteralmente entusiasmante: è l’invenzione stessa del Vangelo, un raggio di luce gettato a intensità crescente sul personaggio di Gesù” (S. Veronesi, Non dirlo. Il Vangelo di Marco, p. 7).
Se dovessi indicare con una parola la novità che Puglisi introdusse a Brancaccio, come negli altri luoghi in cui era inviato, userei proprio la parola entusiasmo. Quell’entusiasmo per Gesù e per il suo Vangelo che tante volte i cristiani seppelliscono sotto strutture pesanti, pseudo-strategie pastorali, clericalismi di vario genere.
Forse dobbiamo riscoprire questo spirito, il vivere con gioia, con entusiasmo, sperando in un riscatto in qualunque situazione. Forse dobbiamo tornare ai quaderni usati di padre Puglisi.