Il boss scarcerato e il Coronavirus| Tra circo mediatico e smentite - Live Sicilia

Il boss scarcerato e il Coronavirus| Tra circo mediatico e smentite

Il caso di Francesco Bonura scatena polemica e indignazione. Ma il virus non c'entra

PALERMO – La pietra dello scandalo è la concessione degli arresti domiciliari a Francesco Bonura. L’Espresso ieri sera lancia la notizia, seguito da quasi tutti i media. Bonura, boss palermitano, colonnello di Bernardo Provenzano, condannato con sentenza definitiva a 18 anni e 8 mesi, detenuto al 41 bis, lascia il carcere in seguito all’emergenza Coronavirus. Non solo, gli viene dato pure il permesso di uscire di tanto in tanto da casa.

Come se non bastasse, sulla base di una circolare del Dap ci sarebbe il rischio scarcerazione di altri pericolosissimi mafiosi. Gente come Nitto Santapaola e Leoluca Bagarella, ergastolani e assassini. Il Fatto quotidiano e alcune agenzie di stampa raccolgono repliche indignate. Tra le prime quella di Antonino Di Matteo, oggi al Csm ed ex pm del processo sulla Trattativa Stato- mafia. Ed è al presunto patto fra boss e istituzioni che il magistrato riporta la memoria. Con il caso Bonura lo Stato si sta piegando di nuovo al ricatto dei boss. È una vergogna. Che scandalo.

Ma qual è il caso Bonura? La risposta è nelle motivazioni del tribunale di Sorveglianza di Milano, competente per la posizione del detenuto a Milano Opera. Basta leggerle. Il boss, che ha 78 anni, sta molto male, ha un cancro al colon, nel 2013 è stato operato e sottoposto a un ciclo di chemioterapia. Ha subito anche un intervento per un aneurisma all’aorta. La scarcerazione gli era sempre stata negata, ma ora i marcatori tumorali sono aumentati. Una condizione che secondo il giudice fa “ragionevolmente” escludere che possa fuggire o reiterare il reato.

E poi perché Bonura, che mafioso lo è stato davvero, dovrebbe scappare visto che gli mancano da scontare nove mesi di carcere? Il suo fine pena è vicino, ricorda il giudice. È detenuto dal 2006 e, considerando gli sconti di pena che spettano a tutti detenuti per buona condotta, fra meno di un anno sarà libero. Da qui il differimento della pena, tecnicamente si chiama così, che finirà di scontare ai domiciliari.

Il Coronavirus e il decreto Cura Italia non c’entrano, tagliano corto gli avvocati Giovanni Di Benedetto e Flavio Sinatra – anche se il tribunale di Sorveglianza scrive che va “tenuto conto anche dell’emergenza sanitaria”. La decisione è stata presa in base ad una legge perecedente.

Ma ormai la miccia dell’indignazione si è accesa. Matteo Salvini si collega prontamente su Facebook: “Ne stanno combinando di tutti i colori nel nome del virus, ma questa è una vergogna nazionale, Francesco Bonura, capomafia di Palermo, condannato a 23 anni (è la stampa che riporta in maniera errata l’entità della condanna, ndr), uomo di Provenzano al 41bis, è uscito perché rischiava di ammalarsi. Sono incazzato nero”. Bonura non rischia di ammalarsi, è già malato.

Ed ancora: “Rischiano di tornare a casa personcine come Nitto Santapaola, Pippo Calò, Leoluca Bagarella”. La narrazione giustizialista ha ormai scritto un’altra verità. Dopo quella falsa della scarcerazione per il Coronavirus di Bonura, fra poco i carnefici saranno liberi.

Il circo mediatico si è messo in moto, inarrestabile. Fioccano le dichiarazioni. Claudio Fava, presidente dell’Antimafia siciliana: “Se i Tribunali di sorveglianza ritengono che un capomafia ultrasettantenne abbia patologie non compatibili con la detenzione e non sia più pericoloso, nessuna obiezione alla concessione dei domiciliari. Ma non prendiamo a pretesto il Covid, per favore! Ad epidemia in fase discendente e trovandosi in condizioni di necessario isolamento al 41 bis, sarebbe ipocrita giustificare le scarcerazioni con i rischi legati al corona virus. Sarebbe offensivo per le migliaia di anziani morti per le condizioni di promiscuità sociale e sanitaria in cui si sono trovati. Se volete scarcerare Bagarella e Santapaola fatelo (dovrebbe rivolgersi con le sue parole ai Tribunali di sorveglianza, ndr) assumendovi la responsabilità di trovare una valida e legittima giustificazione. Che non può essere, a quattro mesi dall’inizio della pandemia, il rischio del contagio, mentre migliaia di detenuti in attesa di giudizio o con pene lievi restano esposti, loro si, al rischio contagio nelle fatiscenti carceri italiane”. La domanda è sempre la stessa, chi li vuole scarcerare e cosa c’entra il Coronavirus?

Si muove anche Leoluca Orlando: “Al di là del comprensibile smarrimento che la notizia ha creato nei familiari delle vittime di mafia, non si può non sottolineare che il trasferimento ai domiciliari per il boss Francesco Bonura e per Giuseppe Sansone appare una palese contraddizione dei motivi stessi per cui sarebbe stato disposto. Nel momento in cui da mesi si sostiene che l’isolamento e la quarantena sono le forme migliori di prevenzione e tutela della salute, credo che proprio il regime di 41-bis sia paradossalmente la migliore forma di tutela della salute per i detenuti, per gli operatori carcerari e per i familiari dei detenuti”. Dunque non solo la scarcerazione di Bonura è dovuta al Coronavirus, ma pure quella di Giuseppe Sansone, arrestato nel blitz del 2018 che ha colpito la nuova mafia palermitana. Sansone non è al 41 bis e la motivazione della sua scarcerazione, decisa dal tribunale del Riesame, non è ancora nota. Lo precisano i suo legali, Giovanni Rizzuti e Marco Giunta. “Il signor Sansone si trova in attesa di giudizio e, come tale, risulta assistito dalla presunzione di non colpevolezza e nei suoi confronti non è stata mai anche soltanto ipotizzata una partecipazione al sodalizio mafioso aggravata dal ruolo di capo o promotore. Sansone, quasi settantenne ed affetto da patologie, in assenza, quindi, di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, avrebbe dovuto per legge essere ammesso agli arresti domiciliari, al pari di altri suoi coindagati in posizioni analoghe”.

Nel frattempo il Tribunale di sorveglianza di Milano, su cui sono piovute accuse e volgarità, soprattutto sui social, sente l’esigenza di precisare che i domiciliari a Bonura sono stati concessi con “la normativa ordinaria applicabile a tutti i detenuti, anche condannati per i reati gravissimi, a tutela dei diritti costituzionali alla salute e all’umanità della pena”. Se non è ancora chiaro il Coronavirus non c’entra.

Salvini convoca una conferenza stampa: “Ci sono reazioni di migliaia e migliaia di italiani, da nord a sud, per l’uscita anticipata dal carcere di mafiosi condannati, con regime duro del 41 bis che, in base a una circolare del ministero della Giustizia, datata 21 marzo ora sono fuori, circolare dove si dice che se di età superiore ai 70 anni e con qualche patologia sono liberi di uscire”, dice il leader della Lega.

La circolare esiste davvero, ma non scarcera nessuno. Sono i tribunali che scarcerano, non il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Nel provvedimento cosiddetto ‘Cura Italia’ si stabiliva che i detenuti condannati per reati di minore gravità, e con meno di 18 mesi da scontare, potevano farlo agli arresti domiciliari per arginare il sovraffollamento delle carceri (ci sono circa 10 mila detenuti in più della capienza massima). Quattro giorni dopo l’approvazione il Dap ha scritto ai penitenziari chiedendo una lista di tutti i detenuti over 70 con patologie per mandarle “con solerzia all’autorità giudiziaria, per eventuali determinazioni di competenza”.

Conoscere la popolazione detenuta: è una delle poche cose positive che sono state fatte dal governo negli ultimi tempi, specie nella gestione approssimativa delle rivolte carcerarie.

Anche il Dap si vede obbligato a spiegare che la nota serve per organizzare un “semplice monitoraggio con informazioni per i magistrati sul numero di detenuti in determinate condizioni di salute e di età, comprensive delle eventuali relazioni inerenti la pericolosità dei soggetti, che non ha, né mai potrebbe avere, alcun automatismo in termini di scarcerazioni”. Insomma sono i giudici che decidono, non il Dap.

La narrazione, c’è da giurarci, proseguirà sul solco tracciato. I comunicati stampa pioveranno sulle redazioni. Sono temi importanti quelli del carcere e della libertà personale. Si possono avere, ed è giusto che sia così, posizioni differenti. Lo dimostra il dibattito sulle morti di Totò Riina e Bernardo Provenzano rimasti detenuti fino all’ultimo respiro. Un dibattito che può essere aspro, ma almeno sarebbe opportuno muovesse dalla lettura dei provvedimenti. Il caso Bonura dimostra che non sempre si parla a ragion veduta.

 

 

 


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