Il capestro di Ippocrate - Live Sicilia

Il capestro di Ippocrate

Che cos'è la medicina difensiva? Leggete e lo scoprirete. E scoprirete perché certe volte i medici che hanno scelto il loro mestiere per passione, dubitano.

LE IDEE
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PALERMO– Domenica scorsa sono andato, come sempre, alla partita. Seduto accanto a Dino, gli avevo appena sussurrato “Guarda, gliela mette alta sul suo palo” quando Miccoli ha fatto il suo primo capolavoro della giornata. Dall’altra parte, come sempre, mio fratello e il mio collega urologo Emanuele. Passano pochi minuti e il Chievo pareggia grazie all’ennesima incertezza del nostro portiere. Emanuele non ha neppure il tempo di imprecare. Il suo telefono squilla. C’è un’emergenza e deve correre in ospedale. “Pazienza. Che ci vuoi fare. E’ il nostro mestiere, la nostra missione”. Non faccio in tempo a tentare di consolarlo che lui è già fuori.

La partita è finita. Cammino su viale del Fante facendo a ritroso il domenicale cammino della speranza e ripenso a Emanuele che si è perso gli altri tre capolavori del Capitano. Scambio due chiacchiere con un ignoto “collega” di tifo mentre lui, il mio collega per davvero, forse starà dicendo a un familiare in ansia nell’anticamera della sala operatoria: “Non c’è tempo da perdere. Bisogna operare”. E mentre guardo lassù a sinistra, in direzione della Santuzza, rifletto sulla frase “E’ una sfida decisiva per la sopravvivenza” che tante volte ho sentito uscire dalle labbra di chi sta solo parlando di ventidue giovanotti in braghette che corrono appresso a una palla.

Torno a casa. Apro il quotidiano che m’aspetta paziente dalla prima mattina. Leggo che il giudice di Pescara ha inviato un avviso di garanzia a un mio “doppio collega” (nel senso del medico e del tifoso). Il fatto è notissimo: 14 Aprile 2012, stadio Adriatico, partita Pescara-Livorno. Intorno alla mezz’ora del primo tempo, Piermario Morosini (che chiamerò solamente Mario perché ho l’allergia al prefisso Pier), stramazza a terra come fulminato. La tragica scena della morte in diretta è ripresa da tutte le televisioni. Si vedono i compagni che si disperano, i medici delle due squadre e del 118 che si affannano sul povero ragazzo. E poi se ne vede un quarto, che scopriremo essere il Primario dell’Emodinamica dell’Ospedale di Pescara, andato allo stadio come semplice tifoso, ma generosamente e doverosamente trasformatosi in soccorritore. L’inchiesta è ancora in corso: si parla di una macchina dei vigili urbani che ha ostacolato l’ambulanza, di un defibrillatore che c’era o non c’era e, se c’era, non fu usato. Di certo, la diagnosi sulla causa della morte di Mario – una rara cardiomiopatia aritmogena ereditaria – mai identificata ai controlli per l’idoneità alla pratica agonistica, è stata scoperta dopo l’autopsia e alcune settimane di indagini.

So bene che l’avviso di garanzia è solo la comunicazione di un’indagine in corso, ma mi metto nei panni del collega di Pescara e sto malissimo. Provo a parlare con la sua voce: “Ma come, stavo seduto lì per passare due ore di svago. Poi ho visto la scena, ho capito che potevo essere utile e non ci ho pensato due volte: sono andato, come spinto da una molla. E adesso sono coinvolto in un’inchiesta giudiziaria quando, pur non avendo obblighi perché Mario aveva già tre medici intorno, ho solo rispettato il giuramento di Ippocrate. Cosa si vorrebbe dimostrare ? Certamente non ho agito con negligenza, né con imprudenza. Allora mi si accusa di imperizia, anche se ho usato mille volte un defibrillatore. Credono che abbia capito che diavolo aveva Mario e non l’ho aiutato apposta? Cosa avrei dovuto fare: restare a fare il tifoso in tribuna per evitare guai ?”. Perché una cosa non capiscono quelli che “dàlli al dottore”: che gli errori medici (quelli imperdonabili da stangare e quelli giustificabili dagli eventi e dalla fallacità di una scienza inesatta praticata da un essere fallace), le complicanze, le fatalità ci sono e ci saranno sempre. Eppure nessuno si cura di difendere il paziente e il Sistema Sanitario dai costi, umani ed economici, della “medicina difensiva”, ossia di quell’insieme di atti e omissioni che un medico pone in essere per evitare guai giudiziari. Perchè forse il prossimo, potendolo fare, la prossima volta resterà solo un tifoso in tribuna.

Ma che razza di mestiere è mai questo ? Che mestiere è quello di chi da un minuto all’altro passa dal ruolo di tifoso a quello di salvatore o di complice di un omicidio colposo. Che mestiere è quello di chi si chiede singhiozzando, come ha fatto il giorno dopo una mia collega alla cui madre è stato diagnosticato un cancro: “Ma come ho fatto a non capirlo prima ?”. Come se noi non potessimo essere solo figli angosciati perché quel camice bianco che portiamo dentro riesce persino a coprire il cuore di figlio. Lo so che è il mestiere che ho scelto e che nessuno mi ha imposto di farlo. E so che ci sono anche le gioie. Ma qualche volta, sempre più spesso, mi ritrovo a pensare: “Questo di Ippocrate non è un giuramento; è un vero capestro”.

 


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