(R.P.) Come cittadino in borghese, il vescovo di Mazara ha il diritto di chiedere le dimissioni di Berlusconi, come vescovo sarebbe un’interferenza. Monsignor Mogavero – pastore schietto e sensibile – lo sa. E differenzia. Ma sussiste un problema: per un alto prelato non è facile atteggiarsi a uomo qualunque, a elettore semplice. Può esercitare il suo diritto alla semplicità nell’urna. Quando parla, immancabilmente lo pensi sempre con l’uniforme ecclesiatica d’ordinanza, un po’ come il bravissimo attore Henry Winkler fregato dal ruolo di Fonzie. In panni diversi dai propri, nessuno è credibile.
Silvio Berlusconi ha molto peccato nell’esercizio laico del potere e forse questo è un buon motivo – a schietto parere di chi scrive – affinché lasci vacante il posto, anche se non ci sentiamo affatto rassicurati dai figuri presenti sulla scena. Abbiamo l’impressione che la loro esibita rettitudine celi forme più spaventose di perversione, dietro la coltre dell’ipocrisia. E siccome siamo pure irriducibili amanti delle cause perse – ahi perché non ci affidarono la parte di Clark Gable che in “Via col vento” va a combattere da sconfitto una guerra – dobbiamo confidare che Silvio B. comincia, nostro malgrado, a ispirarci simpatia. Ci confesseremo.
Perché i suoi torti privati sono forse più umani delle prediche in chiesa e dell’onestà della brava gente, delle comari nelle canzoni di De Andrè. Perché, su questa terra, se ci costringono a scegliere per forza tra il diavolo e l’acqua santa, non c’è partita. Preferiremmo un moderato cammino tra errori e aspirazioni. Ma, se proprio ci costringono a scegliere, stiamo col diavolo. Pur non tifando Milan.