Il mio amico e la racchia | Storia di un amore rosanero - Live Sicilia

Il mio amico e la racchia | Storia di un amore rosanero

Amare davvero vuol dire amare per sempre. E vale anche per il Palermo, una squadra "bruttina" fino a qualche anno fa, resa splendida da Zamparini. Oggi, il patron sembra essersi stancato. Il vero tifoso no.

Ai tempi in cui frequentavo il liceo, un gruppo di amici o conoscenti che uscivano insieme formavano “la comitiva”. Nella mia c’era un ragazzo pieno di doti: intelligente, studioso, di ottima famiglia; non che fosse Alain Delon, però era sempre vestito all’ultima moda con i pantaloni Bell Bottom comprati da Bla Bla e le scarpe Barrows del Napoleon. Non era strano che riscuotesse un certo successo presso le ragazze e, anche se il termine “profumiere” non era ancora entrato nel lessico giovanile, alcune di esse gli mostravano il loro interesse. Sottilmente, come si usava allora. Ma lui ignorava quelle attenzioni perché aveva occhi solo per un’altra. In preda alle tempeste ormonali tipiche dei teenagers, lo rimproveravamo spesso per le troppe occasioni sprecate ricevendo sempre la stessa risposta: “Ma che ci posso fare, ragazzi. Io sono innamorato”. Il dettaglio più incomprensibile, a noi che prestavamo più attenzione alle forme (intese come misure) che ai contenuti delle nostre coetanee, era che questo amore così struggente e (diciamo così) improduttivo, fosse diretto verso una ragazza che non solo lo respingeva, ma che era unanimemente considerata insignificante. Sia nelle forme che nei contenuti. E quando, con il tipico tatto giovanile trovammo il coraggio di dirglielo, la sua risposta divenne ancor più amara: “E’ sempre brutto non essere corrisposti quando si è innamorati. Ma non c’è peggio di esserlo di una racchia”.

Ho rovistato nel cassetto dei miei ricordi per usare la storia del mio amico innamorato della racchia come metafora del rapporto tra i tifosi e la squadra rosanero. Ai tempi della mia comitiva, il Palermo era per me ciò che la racchia era per il mio amico. Tutti gli altri sbavavano dietro alle belle strisciate godendo dei loro successi pur se quelle “facevano le profumiere” solo da una finestra televisiva. Mi prendevano in giro con epiteti suini quando mi presentavo al campetto con la maglia di Tanino Troja. Mi guardavano increduli quando, alla domanda “Per chi tifi ?”, rispondevo “Per il Palermo”. E dopo il solito sorriso di commiserazione, la domanda successiva era: “Si, vabbè. E poi ?”. Sì, perché non era concepibile che un ragazzo tifasse per il Palermo. Intendiamoci: il fenomeno del tifo alloctono, o peggio eterozigote, alligna in ogni parte d’Italia; tuttavia a Palermo esso trovò per decenni terreno fertile perché il Palermo di allora era una racchia di cui non ci si poteva innamorare. Anche perché quella racchia, come capitava al mio amico, ti faceva soffrire come un cane. Poi un bel giorno arrivò un cavaliere dal Friuli. Prese quella racchia sdegnosa e la portò in una beauty-farm. La consegnò alle cure di esperti truccatori, l’adornò con vestiti che già possedeva e gliene comprò di nuovi. Le regalò gioielli che misero in risalto una bellezza mai conosciuta. E tutti si innamorarono di quella racchia d’un colpo divenuta gnocca. Gli stessi che canzonavano chi non aveva disdegnato di accompagnarla in malinconiche balere di periferia, si beavano nel vederla danzare nei migliori teatri. Coloro che la disprezzavano mentre si inerpicava tra sentieri infestati da vipere e rovi, si accalcavano per accompagnarla per le strade del jet-set. Amare la mia racchia divenne una moda locale e tutti, sotto le strisce, scoprirono un pizzico di rosa.

Oggi pare che il cavaliere si sia stufato della mia racchia. Lui che di forme (intese come maniere) non ne ha mai avute, adesso lesina anche i contenuti. Né questi, né quelle: come la racchia del mio amico. Quei gioielli sono stati venduti, anche al Banco dei Pegni. Quei vestiti lussuosi sono adesso straccetti di dubbio gusto pescati in bancarelle sparse qua e là per il mondo. E naturalmente molti degli innamorati sono scomparsi, tornati agli amori di un tempo. C’è chi auspica che il cavaliere si ravveda, chi spera che ne arrivi un altro, magari in groppa a un cammello. C’è persino chi preferirebbe tornare all’amore di una volta, struggente nella malinconia di un vivere dimesso. Io non so che ne sarà della mia innamorata e se tornerà, come in molti temiamo, la racchia d’allora. Di certo non l’abbandonerò proprio adesso e non cesserò d’amarla se continuerà a sfiorire.

Mi chiederete del mio amico. L’ho perso di vista e non so cosa ne sia di lui e della sua racchia. Forse s’è ravveduto. Oppure, rassegnato, ha rinunciato all’amore. Ma sono certo che ancora oggi ogni tanto sospira ripensando al suo amore impossibile. Perché non ci sono gioielli e vestiti che tengano: chi ama davvero ama per sempre.


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