Il Palermo sazia la fame dei tifosi - Live Sicilia

Il Palermo sazia la fame dei tifosi

Partita all'ora di pranzo per i tifosi rosanero. Partita fondamentale per cercare di costruire la salvezza. E i rosanero - grazie soprattutto al duetto Brienza-Dybala - hanno saziato la fame dei tifosi.

Il processo del lunedì
di
5 min di lettura

Il secondo gol di Dybala

PALERMO- Vi sembrerà strano, ma la cosa che temevo di più della partita di ieri era che si giocava alle 12.30, visto che tutte le altre volte che era capitato c’era andata male: “Vuoi vedere che, oltre alla Sampdoria, dobbiamo battere anche la maledizione delle dodici e trenta?”.

Così, andando allo stadio a piedi come faccio da sempre, lungo tutta via Sampolo e tutto viale del Fante, ho avuto modo di constatare che i miei timori non erano soltanto miei, ma di gran parte dei tifosi. Infatti, mentre lentamente (quasi di malavoglia) sciamavano verso lo stadio, li sentivo confabulare senza tregua, come se si confidassero l’un l’altro chissà quali segreti. E siccome sono curioso da morire ho cominciato a pedinarne qualcuno, per capire che avessero tanto da dirsi. E captai subito che l’argomento era sempre lo stesso: “Mi…, cucinu, e rurici e mienza unn’amu cumminatu mai nienti ri buonu!”. E l’altro, come a voler esorcizzare la stessa paura: “Sì, ma stavuota un mi fazzu futtiri… Stavuota iu un binni o stadiu già manciatu!”. “Cioè, che vuoi dire?””. “Stavuota sugnu riùnu, cucì… Capiscila ‘a cuosa!”.

Insomma, una domenica diversa, ma non solo per l’orario: c’era una sconfitta umiliante da dimenticare e una classifica deprimente da rinvigorire. Eppure allo stadio erano più gli spazi vuoti che quelli occupati dai tifosi. Solo in tredicimila, poco più di quattromila i paganti, oltre agli abbonati: uno scenario tutt’altro che confortante. Insomma, le premesse sembravano tutt’altro che incoraggianti, ma erano l’ulteriore conferma di uno scollamento evidente tra squadra e tifosi. Quelli buoni, però, erano tutti lì, al loro posto e si facevano sentire subito, come fossero trentamila: cori, canti, inni e invocazioni all’ingresso delle squadre in campo. E subito il Palermo se li trascinava dietro cominciando di gran carriera, corse a perdifiato, grinta e ritmo forsennato. E si è visto subito che i due lì davanti erano in giornata: Brienza sprintava alla sua maniera, si infilava nell’area di rigore, giocava di prima, come sanno fare solo i talenti puri. E, soprattutto, cercava sempre l’uno-due con Paulo Dybala, che lo assecondava con naturalezza, come avessero giocato insieme da sempre: l’uno suggeriva e l’altro tentava la conclusione, una, due, tre volte, sfiorando sempre di un niente il gol.

I giocatori di classe, qualunque sia la loro provenienza, dovunque abbiano giocato prima, si capiscono al volo, non c’è neppure bisogno di farli giocare assieme chissà per quanto tempo. Basta poco, bastano uno, due passaggi; uno, due scatti in profondità, ed è fatta: l’intesa c’è già, è una cosa naturale, sono due poeti che declamano i loro versi, magari se li scambiano, senza avere mai avuto bisogno di conoscersi. Così loro due, Brienza e Dybala: un’intesa naturale, che sa di classe cristallina, di talento nativo, di fantasia, di puro istinto. Come il secondo gol di Dybala, un sinistro-laser, sul quale il bravo Romero resta impietrito: la palla, a filo d’erba, si infila nell’angolo lontano e subita si leva dagli spalti un urlo che, così forte e trascinante, non sentivo da una vita. Dai tempi, per intenderci, nei quali ospitavamo al Barbera la Juve o il Milan e li rimandavamo a casa loro con le pive nel sacco e un paio (ed anche più) di gol sul groppone. Erano altri tempi, che noi tifosi abbiamo fortemente temuto (e ancora temiamo) di aver perso per sempre.

Già la scorsa stagione ce li aveva fatto dimenticare, tant’è vero che da trentamila, almeno per le partite importanti, ci siamo ridotti a 13-14 mila, col Milan. Poi la stagione corrente, l’ultimo posto in classifica (il Siena, penalizzato, lo è solo di numero), la bruciante sconfitta di Roma e, infine, questa partita-quasi-spareggio con la Sampdoria da giocare alle 12.30. Tutto un insieme da far accapponare la pelle. E invece…

Ma il calcio è un po’ come la vita: è bello perché è vario, non sai mai cosa ti riserva, passa da una sorpresa all’altra e se anche ti viene a mancare il giocatore simbolo, il più forte, l’unico rimasto in grado di riempirti gli occhi e il cuore di speranza – capitan Miccoli – e non sai più a che santo rivolgerti per crederci ancora, ecco che sgorga, come sorgente miracolosa, l’accoppiata Brienza-Dybala. E la Samp va subito in tilt e se le facciamo solo due gol è perché dobbiamo metterci ancora più rabbia e, perché no, un pizzico di spavalderia in più. Di incoscienza, perfino. Come riesce più facile ai giovani e ancor di più ai “ragazzini. E Dybala lo è, altrimenti non avrebbe neanche tentato quel diagonale-laser, subito, di sinistro e di puro istinto, prim’ancora che il povero Romero avesse modo di capire che… diavolo stesse combinando con quella palla radente, passatagli, come tante altre prima, dal suo gemello di Cantù, Franco Brienza. Che quando gioca così, con questa verve, con questa rapidità e tutta la fantasia che madre natura gli ha regalato, non “si può tenere”, ti sguscia da tutte le parti, ne sanno qualcosa i Gastaldello e Rossini di turno che, alla fine, se ne saranno tornati a casa con un fortissimo mal di testa.

Che domenica, ragazzi! Me ne sono accorto anche alla fine, tornando verso casa. Di solito lo si fa chiacchierando senza freni, allegramente se si è vinto o, se no, mestamente e perfino rabbiosamente, se la sconfitta è stata bruciante. Ma una cosa resta sempre uguale: si va via dallo stadio a passo lento, come si volesse prolungare l’uno o l’altro stato d’animo. Ieri, che era una domenica diversa, invece la gente aveva fretta, sembrava inseguita da chissà che. E ho capito: avevano tutti fame! E, come quei tifosi captati all’andata, un po’ tutti avevano avuto la stessa pensata: per sventare la minaccia delle …12.30, se erano andati allo stadio digiuni. E la scaramanzia, si sa, nella vita e nel calcio, ha la sua importanza, perché spesso inquadra il problema e lo risolve. E tuttavia, pur nella fretta di andare a tavola – si mangia di più e meglio dopo una vittoria – un tifoso, ebbro del successo più degli altri, annunciava al suo vicino: “Cumpa’, mancu un misi e Conte tuorna panchina: aspittamulu a chistu pi faricci a fiesta!”.


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