Panifici, imprese e macellai| I boss e il pizzo a tappeto - Live Sicilia

Panifici, imprese e macellai| I boss e il pizzo a tappeto

Il boss Mariano Marchese a un summit con gli uomini di Santa Maria di Gesù

Nel mirino dei vecchi padrini e dei gregari di Santa Maria di Gesù attività di ogni tipo. E a San Giuseppe Jato i boss dimezzarono la richiesta estorsiva a un allevatore/macellaio perché era anche titolare di un negozio nel territorio della famiglia di Villagrazia.

Palermo, operazione brasca
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PALERMO – Le due articolazioni del mandamento Villagrazia-Santa Maria di Gesù e quello di San Giuseppe Jato lavoravano sinergicamente anche sul fronte del pizzo. Nel corso delle indagini che hanno condotto ai 62 arresti per mafia dell’operazione “Brasca”, gli inquirenti hanno accertato undici episodi estorsivi, dai quali emerge che il pizzo veniva pagato a tappeto in tutto il territorio sotto l’egemonia dei boss. Le vittime delle estorsioni non hanno denunciato spontaneamente, ma messe con le spalle al muro dai carabinieri hanno ammesso di essere finite nell’incubo del pizzo, che si snodava tra scadenze mensili e quelle della Pasqua e del Natale.

I boss controllavano imprese ed esercizi commerciali della città e della provincia, le richieste della “messa a posto” non risparmiavano panifici, negozi di arredamento, imprenditori del settore dell’edilizia. Ancora una volta Cosa nostra ribadisce la sua presenza sul territorio e attraverso le richieste estorsive rimpingua le proprie casse per far fronte anche al sostentamento delle famiglie dei padrini in carcere, con i quali il legame resta sempre solido.

E così, tra le imprese prese di mira dagli estorsori erano finite quelle impegnate nella realizzazione di complessi edilizi sia in città che a Villaciambra, “annessa” al territorio della famiglia mafiosa di Villagrazia, ma anche un panificio che si trova in viale Regione Siciliana. Il 5 gennaio dello scorso anno le microspie dei carabinieri hanno captato una conversazione tra Mario Marchese e Vincenzo Adelfio: i due facevano il punto sugli incassi delle estorsioni. Parlavano di una ditta che si occupa di infissi e porte corazzate, di una carrozzeria e proprio del panificio: “Mi hanno mandato duemila e cinquecento euro… Pinuzzu me li ha mandati… ci siamo?… Non so quale siano…”. Vincenzo Adelfio ha risposto di avere ottenuto cinquecento euro: “gli ho detto… un poco dammeli… prima che me li domandano… gli ho detto...”

L’anziano padrino, Marchese, non perdeva alcuna occasione. Nonostante l’età avanzata il suo potere non si scalfiva e i gregari erano sempre pronti ad eseguire i suoi ordini. Così come gli esattori del pizzo non perdevano tempo nelle richieste estorsive ai danni di un panificio di Monreale, che aveva da poco cambiato gestione. Ad informare Marchese era stato Giovanni Messina: “Siccome hanno aperto là sopra…di nuovo… ora se l’è preso altra gente…Ora il discorso quale è… siccome … fanno… volantinaggio dico se tu fai il volantinaggio… va be’ li puoi lasciare nelle case… ti basta… minchia ma andarci direttamente là… da questi muratori”.

In pratica, i volantini per promuovere l’attività erano stati consegnati anche ai lavoratori di un cantiere, ai quali i titolari del locale avevano proposti nuovi sconti. Una “strategia commerciale” che dava fastidio ai boss, per la concorrenza alla panineria della compagna di Messina. Ai precedenti gestori dell’attività commerciale, nel 2013, era d’altronde già arrivato un messaggio chiarissimo con i lucchetti danneggiati con l’attak. Richieste e pressioni psicologiche sono state accertate dagli inquirenti anche nei confronti di una impresa edile di Altofonte, altra zona controllata dai boss della provincia.

In corso c’era la realizzazione di trenta abitazioni. Stesso “trattamento” era stato riservato dai clan al titolare di un cantiere, sempre a Villaciambra, per costruire 53 alloggi. La messa a posto sarebbe costata cinquanta mila euro. Un settore, quello dell’edilizia, che da sempre fa gola a Cosa nostra. Un’ulteriore conferma è emersa dalle intercettazioni in cui Marchese parla della richiesta di pizzo ad un imprenditore edile condannato per concorso esterno in associazione mafiosa: avrebbe dovuto pagare diecimila euro per la creazione di otto abitazioni in via VF 34 e via Agnetta.

Ma anche il mandamento di San Giuseppe Jato era molto attivo sul fronte del pizzo. Di fronte al “no” di chi non voleva cedere alle estorsioni, si rispondeva con le intimidazioni: incendi, danneggiamenti, colla attak nelle serrature dei negozi. Emblematici i discorsi captati nel corso di una riunione tra Andrea Marfia, Salvatore Di Blasi – della famiglia di Piana degli Albanesi – e Salvatore Mulè, all’epoca reggente proprio del mandamento di San Giuseppe Jato: veniva decisa l’estorsione a carico di un allevatore/macellaio, che non aveva pagato la messa a posto di diecimila euro per aver attivato un allevamento di bovini a Santa Cristina Gela, territorio sotto l’egemonia della famiglia di Piana. Per “placare le acque” fu necessario l’intervento di Mario Marchese: il macellaio doveva pagare di meno, visto che era anche titolare di un’attività commerciale a Villaciambra e pagava regolarmente il pizzo. 


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