Il paradosso della crocchè - Live Sicilia

Il paradosso della crocchè

Il centrodestra siciliano attacca Crocetta sul fronte del trasformismo e delle nomine, accusandolo di essere "come Lombardo". Che, piccolo dettaglio, è suo alleato in questa campagna elettorale.

PALERMO – Sortisce un effetto curioso, ai limiti del surreale, la lettura delle cronache politiche di questi giorni. In Sicilia, l’opposizione di centrodestra attacca lancia in resta Rosario Crocetta, rinfacciandogli una spregiudicata campagna acquisti che ha portato la coalizione del governatore a raggiungere all’Ars la maggioranza che le urne non gli avevano consegnato. E nel mirino dell’opposizione finiscono anche le nomine della giunta nei posti di sottogoverno, nomine maturate, secondo gli oppositori, in una logica di lottizzazione. Fin qui il tutto potrebbe ascriversi a un normale quadro di dialettica politica, ma ad ammantare la querelle di sfumature surreali è l’accusa rivolta a Crocetta negli ultimi giorni a più riprese da diversi esponenti di primo piano dell’opposizione, di essere “come Lombardo”. L’accostamento delle mosse del nuovo governatore alle più criticate pratiche del suo predecessore è l’elemento che manda in cortocircuito la polemica politica di questi giorni, considerato che gli stessi oppositori di Crocetta che bollano di lombardismo i comportamenti del presidente della Regione sono proprio in questi giorni, piccolo dettaglio, alleati di Raffaele Lombardo nella campagna elettorale per le Politiche.

Ecco perché gli attacchi, peraltro non infondati (il trasformismo di questo primo scampolo di legislatura è agghiacciante per la disinvoltura con cui viene consumato), del centrodestra suscitano per lo meno una sensazione di perplessità. Tanto più se si ripensa alla litania del “patto della crocchè”, che da quelle parti fu sbandierato per buona parte della campagna elettorale. Il centrodestra giurava che le strade di Crocetta e quelle del tandem Miccichè-Lombardo si sarebbero incrociate dopo il voto, gridando preventivamente all’inciucio. Le cose sono andate diversamente. Le crocchè sono rimaste in friggitoria, Crocetta ha avuto gioco facile a sfilare uno dopo l’altro un drappello di deputati transfughi, e il tandem Miccichè-Lombardo alla fine se l’è ripreso proprio quel centrodestra che tre solo mesi fa si faceva il segno della croce a sentir nominare il binomio.

Un quadretto surreale, dicevamo, che certo è anche frutto avvelenato di quello sgangherato Porcellum e di quella malintesa idea di bipolarismo all’italiana per la quale il nemico del mio nemico è mio amico, alla faccia di quel che è stato fino a una settimana fa. Ma che è anche la fotografia della fragilità e delle contraddizioni di un centrodestra che ormai da qualche anno fatica a ritrovare la bussola in Sicilia. E che ancora una volta in questa campagna elettorale dimostra la sua pressoché totale dipendenza dalla abilità mediatica del suo leader Silvio Berlusconi, che lo ha rianimato rimettendolo in corsa per una possibile vittoria in Sicilia.

Certo, si potrà obiettare che numeri alla mano furono le divisioni del centrodestra a spianare la strada, nello scorso ottobre, alla vittoria di Rosario Crocetta. Indiscutibile. Ma è pur vero che quelle divisioni erano autentiche e profonde. E non basta un po’ di nastro adesivo per rabberciarle alla bell’e meglio, ripresentandosi di nuovo tutti insieme, amici come prima, in nome di un’unità a cui nessuno crede. Per primi quei tanti big della coalizione che per marchiare Crocetta non trovano di meglio che accostarlo a un loro alleato. Il risultato? Quello di una predica che perde il suo mordente. Per problemi di pulpito.

 


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