Il pericoloso gioco dello ‘snap’ - Live Sicilia

Il pericoloso gioco dello ‘snap’

Snapchat è una applicazione per smartphone: i messaggi e i file inviati spariscono subito dopo la lettura. E' sufficiente per ritenerci al riparo dai rischi?

Qualche tempo fa si è trattato del futuro delle riviste cartacee (La ‘fabbrica’ di notizie, Live Sicilia, ottobre 2014), rispetto al proliferare dei giornali in rete, mettendo in evidenza come sia opportuno ripensare il sistema dell’informazione secondo una logica nuova, nel superamento del rapporto tra giornalista e lettore, perché la notizia, in modo crescente, è un processo aperto alla comunità. All’inizio dell’estate una news che ha fatto il giro del mondo confermava quest’intercambiabilità dei ruoli.

Snapchat, servizio di messaggistica istantanea per dispositivi mobili (e uno dei più usati insieme a Facebook e Whatsapp), reclutava persone con l’hobby del giornalismo per il lancio di una nuova società, in vista delle elezioni presidenziali americane del 2016. Tra i requisiti degli aspiranti web-cronisti, aver fiuto per gli eventi globali, esperienza nel raccontare storie, capacità di rimanere oggettivi, ed essere creativi, appassionati di politica, motivati, pronti a viaggiare e a lavorare a qualsiasi orario. La grande famiglia di Snapchat si sta dunque allargando.

Ma cos’è Snapchat? Si tratta di un’app che permette di dialogare privatamente dallo smartphone, con una novità di enorme portata: conversazioni, foto e video si cancellano automaticamente entro pochi secondi dalla lettura, come per un tocco magico (e snap significa proprio lo schiocco delle dita). La sua diffusione in Europa, secondo i dati forniti da una ricerca del maggio 2015, condotta su giovani tra i 16 e i 19 anni di età dalla Global Web Index, è molto ampia in Irlanda, con un totale pari al 52%, in Belgio e Svezia (46%); meno, invece, in Germania (24%) e Spagna (22%). In Italia l’app è ancora sconosciuta a molti; ma, come sempre, le fasce di età maggiormente ricettive sono quelle più giovani, tanto che da un’analisi di MEC e Skuola.net di un campione di 1.200 studenti di scuole medie, superiori e università, si evince che il 17% dei ragazzi intervistati la utilizza.

A livello di strategia di mercato, questa ennesima realizzazione del sogno americano, conseguita nel 2011 da due geniali ventenni, Evan Spiegel e Bobby Murphy, si permette ancora di opporre un rifiuto ai corteggiamenti (o meglio, alle offerte miliardarie) di colossi come Google e Facebook, dei quali sta insidiando il primato sia nel mondo degli adolescenti che in uno meno ingenuo. La creatura di Spiegel e Murphy, valutata attorno ai 16 miliardi di dollari, ha già conquistato circa 100 milioni di persone, che la usano ogni giorno per scambiarsi in media 700 milioni di foto e video, snaps, appunto.

Siamo ancora immuni da quest’ultima mobile-mania? Se sì, ancora per poco, e se ne comprende bene la ragione. Il poter tirare sospironi di sollievo sapendo che la condivisione delle immagini ha un tempo limitato, da 1 a 10 secondi, potrebbe essere assolutorio rispetto a una montagna di materiale non proprio ortodosso che attraversa l’etere. In buona sostanza, ecco il segreto di un successo annunziato: la mancata necessità di assumersi la responsabilità di quel che si invia… tanto, c’è una bacchetta magica!

Ma è davvero così? O esiste un margine per chi riceve di ritenere le immagini ricevute? In effetti, gli hacker sono alla continua ricerca di nuovi metodi per salvare le foto senza che l’interlocutore ne abbia la consapevolezza, tanto che nella Privacy Policy dell’app viene espressamente dichiarato che, come per qualsiasi altra informazione digitale, vi sono modi per accedere alle foto mentre sono in visione sui dispositivi dei destinatari o anche dopo che sono state eliminate: i messaggi sono quindi inviati a proprio rischio e pericolo.

Snapchat è un fenomeno che non può essere ignorato. La sua peculiare caratteristica, far scomparire le comunicazioni inviate, è una funzione che per i teenager statunitensi, i primi nel mondo ad averla adottata, è una ‘killer feature’, specchio dell’odierna filosofia di vita: conferire valore all’effimero. I picchi di maggiore utilizzo si riscontrano durante le ore di scuola, quando i ragazzi la usano come surrogato degli antiquati bigliettini di carta da scambiarsi in classe. Il mondo degli adolescenti, quello più difficile da proteggere, sembra dunque il terreno di coltura ideale per la diffusione dell’applicazione. E parlando ai giovanissimi secondo i loro canoni, con lo slogan ‘la fine della tua storia di oggi è l’inizio di quella di domani’, Snapchat ha lanciato una funzione per realizzare album condivisi in cui caricare foto e video con i propri amici (si chiamano “storie”) e per chattare in tempo reale, e si è poi rivolta a utenti ancora più giovani con SnapKidz, che permette ai bambini di creare foto e video, senza condividerli, nel tentativo di proteggerne la privacy.

Fin qui, la parte ludica dell’innovazione tecnologica. Ma torniamo a un tema che ci è caro, la protezione dei minori. Al momento attuale, la tendenza degli adolescenti nell’inviare foto personali difficilmente potrà essere arginata, incentivata com’è da un falso senso di sicurezza. Falso perché, in realtà, chiunque potrebbe salvare uno screenshot dello schermo del telefono se è abbastanza veloce per farlo. E dopo? La foto può circolare o essere conservata in archivi privati.

Ma c’è di peggio. Sexting, cyberbullying, grooming e snapchat sono termini che restano poco noti agli adulti fino a quando da quello che sembra un mondo evanescente non si sfocia nella cronaca nera.

Video hard, appuntamenti al buio, prostituzione minorile e pornografia sono fenomeni in crescita nel mondo dei giovanissimi, nell’assordante silenzio istituzionale. Le nuove generazioni sono lasciate sole a confrontarsi con tecnologie e con esperienze troppo violente rispetto a una mancanza di maturità che non permette di scegliere, ma lascia subire. La pratica del sexting, neologismo che indica l’invio di messaggi e immagini sessualmente espliciti via smartphone e tablet, è tristemente divenuta una moda giovanile. Foto e video a sfondo sessuale, facilmente realizzati con il cellulare, anche se inviati a una sola persona si possono diffondere in modo incontrollabile provocando danni estremi, specie se si considera come, avendo operato di nascosto ai genitori, si diventi ricattabili.

E’ ormai improcrastinabile che gli interventi educativi, nella famiglia e nella scuola, abbiano inizio fin dalle elementari, come propone l’OMS. All’incremento del mondo della pornografia a buon mercato, corrisponde difatti un aspetto devastante nella crescita: togliere progressivamente ogni connotazione affettiva e relazionale alla sessualità. ‘I maggiori produttori di materiale pedopornografico sono minori’ -ha dichiarato Umberto Rapetto, ex comandante del Nucleo speciale frodi telematiche della Guardia di Finanza-. ‘A vent’ anni dalla nascita di Internet, il minore da vittima è diventato carnefice di se stesso’.

La tesi è confermata da una ricerca di Telecom Italia con la collaborazione dell’ Università della Magna Grecia di Catanzaro. Da 1500 questionari distribuiti tra studenti in media quattordicenni, si ricava che l’ 85,5 per cento è iscritto a Facebook e il 62,1 pubblica online foto e video; il 15,3% ha usato Internet per fare dispetti; il 42,9% si collega per litigare o insultare, e il 9,5% è pronto a mandare le proprie foto in cambio di una ricarica telefonica o di un bene di moda. Tra smartphone e motorino si sceglie il primo, e se si opta per lo scooter è perché si possiede già un dispositivo mobile. Sebbene parziale, l’indagine prova l’urgenza di un’educazione civica telematica.

Sin dal 2013 il fatto che il 12,3% dei minorenni postasse immagini improprie era stato reso noto da una inchiesta di Telefono Azzurro, che ogni anno partecipa al Safer Internet Day organizzato dal network europeo INSAFE per promuovere l’utilizzo responsabile di Internet e cellulari da parte dei minori e diffondere una consapevolezza sui rischi dell’uso incontrollato delle nuove tecnologie. Per sensibilizzare sia gli educatori che i ragazzi stessi, sono disponibili consigli per i genitori, che si trovano ad affrontare problematiche del tutto nuove nell’educazione dei loro figli, per gli insegnanti, che li aiutino a guidare gli alunni a un uso equilibrato della rete, e per i ragazzi, su come navigare in sicurezza. A questo proposito, l’organizzazione Save the Children, insieme alla Commissione UE, promuove ogni anno una campagna denominata ‘Posta con la testa’, al fine di rendere chiare le conseguenze che derivano dalla pubblicazione di immagini che dovrebbero rimanere private. Sia Telefono Azzurro, sia Save the Children fanno parte di INHOPE, l’associazione internazionale la cui mission è la protezione dei giovani dagli usi illegali e dannosi del web e la lotta alla pedopornografia in Internet.

Non lasciamo i nostri figli distanti o, addirittura, diffidenti. Un dialogo aperto e positivo resta l’unica difesa. Perché, ci piaccia o meno, è una guerra di tutti contro tutti.

 


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