CATANIA – ‘Uscire per ritrovarmi’. Gloria Torre è energia pura. Ha 25 anni. Da bimba aveva già tracciato la sua strada, umana e professionale. Ma quel percorso, con la maturità e ‘il fare esperienza’ (mantra che ha tatuato nella mente e nell’anima), ha subito una piccola deviazione. E ora il suo sogno è andato oltre il disegno architettonico e mira all’urbanizzazione strumento del senso di appartenenza. In questo viaggio verso la scoperta di un ‘posto nel mondo’, Gloria ha conseguito la laurea magistrale in Architettura per il progetto sostenibile al Politecnico di Torino con il voto di 110 e lode. Un ambizioso traguardo raggiunto con una tesi dal titolo “Catania e le altre città. Il racconto urbanistico come strumento di progetto”. Uno studio che fa una radiografia dello spazio urbano all’ombra del vulcano. Uno sguardo critico verso quella che stata definita la Milano del Sud.
Perché la scelta di dedicare la tesi a Catania? Una dichiarazione d’amore? La scelta di fare qualcosa per ‘migliorare’ la tua terra natia?
La volontà di dedicare lo studio alla città di Catania è dovuta alla pregressa conoscenza percettiva che avevo della mia città. Una conoscenza basata sull’osservazione e sull’esperienza, che spesso mi riconduceva all’inadeguatezza della grande metropoli europea verso cui la città tenta di riconoscersi. Voglio essere sincera, l’amore per Catania non centra il nodo della questione. L’amore non è il sentimento che meglio identifica il rapporto che stringo con “la mia città”, o che stringevo. Sentimenti opposti al primo mi hanno invece spinto ad indagare “dal di dentro” Catania: l’amarezza e la delusione rispetto un luogo che è stato plasmato (almeno nell’ultimo secolo) in seguito a scelte individualistiche che ne hanno compromesso, ancor prima che la forma della città, le relazioni (sociali e spaziali). Una speranza però riconosco in ogni città: la sua componente civile che, più o meno intenzionalmente, agisce sullo spazio urbano ridefinendone i significati e le relazioni con il territorio circostante, spesso distorti dalla città “pubblica”, quella costruita a partire dagli strumenti di governo e dalle politiche urbane.
Quale è l’idea ‘urbana’ di Catania che ti sei fatto mentre realizzavi la tesi?
Secondo quanto apparso durante lo studio condotto, Catania è oggi segnata da una densa, nuova questione urbana (Secchi, 1984) che assume quantomeno tre dimensioni: quella sociale, quella ambientale, quella circa la mobilità. Questione urbana che è segnata anzitutto da una predominante disuguaglianza. La polarizzazione della ricchezza è avvenuta, a Catania come in tutte le metropoli, durante il processo di espansione della città. Le politiche urbane degli anni Sessanta hanno, infatti, attraverso i piani di nuova edificazione dei quartieri popolari a corona della città consolidata, comportato la frammentazione in parti omogenee della città nella sua componente sociale, concentrando i poveri nelle nuove aree urbanizzate (perlopiù prive di adeguati servizi individuali e di comunità) restituendo alla città una nuova e vastissima periferia. Una separazione che ha limitato il ruolo funzionale e partecipativo alla vita cittadina delle classi sociali meno abbienti, condannando una buona parte della popolazione a quelle aree che, in poco tempo, sono divenute i nuovi ghetti della metropoli catanese. La grande questione urbana che attanaglia la dimensione metropolitana catanese è identificabile, oltretutto, proprio in tale frammentazione e nella sua forma policentrica, che tutto è eccetto che equilibrata. La metropoli e il suo spazio circostante, insieme, costituiscono un complesso ecosistema urbano e in quanto tale è scenario di flussi di energia e materia necessari per il suo sostentamento. Le questioni urbane intorno alla mobilità, dei rifiuti e dell’inquinamento, del consumo di suolo e risorse ambientali ed energetiche vengono oggi considerate dalla pubblica amministrazione in maniera disgiunta, ignorando le relazioni che queste questioni stringono l’una con l’altra e rispetto all’esteso territorio dell’area metropolitana, generando enormi problemi ambientali e sociali. Al di là della frammentazione urbana, Catania appare tuttavia almeno duplice per quanto concerne l’immaginario che incarna. Il complesso dei comuni etnei costituisce le parti di un organismo più ampio (la città del vulcano) e in quanto tali condizionano i processi che hanno vita all’interno del polo cittadino (la città del mare). Oggi la città non può più essere considerata come parte separata dal territorio circostante né, tantomeno, questo può essere concepito come capitale a cui attingere incessantemente e senza interessi.
Catania vive di una realtà ‘forse strana’: alcuni quartieri centralissimi vivono i problemi e le piaghe delle periferie. Penso a San Cristoforo, ad esempio?
È proprio così. Il caso catanese mostra come sia improprio discutere di periferia facendone una banale riflessione prossemica basata sulla distanza dal “centro”. La periferia, a Catania, è fuori, ma anche dentro la città. I caratteri che fanno periferia, quali quelli di degrado sociale ed edilizio, di diverse pratiche sullo spazio urbano distanti da quelle riconosciute dalla città consolidata e di insicurezza/sicurezza provocati dal forte ruolo funzionale della mafia di quartiere, non dipendono propriamente dalla lontananza dal centro. Questi aspetti si distribuiscono indifferenziatamente nella Catania urbanizzata. Se da una parte la periferia catanese si colloca, come spiegavo prima, lungo i confini della città dominante, dall’altra parte la periferia è anche nei quartieri del centro storico. Periferia, a Catania, è sentimento e percezione delle ampie disuguaglianze urbane, e non essenzialmente condizione spaziale.
Librino è un sogno fallito?
I propositi per Librino erano sicuramente più nobili rispetto a quanto si è verificato. Librino, pensato quale lo spazio dell’uguaglianza, del diritto alla casa e al lavoro, in prossimità della zona industriale, quale doveva interpretare i grandes ensembles francesi, nella banalizzazione del suo progetto si è invece configurato, nell’immaginario collettivo catanese, quale il quartiere dell’esclusione per eccellenza, del disagio sociale e del degrado urbano, della criminalità e del pericolo. Una città fuori dalla città, propria di tutti gli aspetti negativi che la rendono periferia. Una città, quella di Librino, pensata per 60.000 abitanti e le quali prospettive di attuazione erano tutt’altro che nobili, ma invece comandate dal pragmatico ragionamento sulla capacità speculativa dei terreni, troppo lontani dal mare e contemporaneamente dalla montagna, terreni troppo caldi per insediare un abitato di pregio.
Catania vive di ‘supplenti’. Dove non ci sono le istituzioni sono intervenute le associazioni. Penso al volontariato, allo sport, alla cultura. Sono molte le interviste nella tua tesi.
I casi analizzati dimostrano come in seno alla società catanese stia maturando una profonda presa di coscienza rispetto al ruolo attivo che ogni parte civile può assumere per concorrere al comune obiettivo di miglioramento della qualità di vita all’interno del complesso urbano. Si tratta infatti di pratiche dirette sul territorio promosse da soggetti da identificarsi per lo più in associazioni, fondazioni private e istituzioni universitarie che si fanno promotori di azioni volte alla creazione di organizzati processi inclusivi in grado di agire sulla sfera progettuale del recupero urbano e su quella dell’innovazione sociale e culturale in particolari contesti urbani, nei luoghi della povertà intesa in senso reddituale, ma anche e soprattutto culturale, sociale e relazionale all’interno e all’esterno del quartiere in cui si colloca l’iniziativa, tentando così di proporre un modello in grado di alleviare le questioni delle disuguaglianze aggravate ulteriormente dalla diminuzione degli investimenti pubblici rispetto le politiche sociali a seguito della prima crisi economica nazionale. In questi sensi agiscono i soci di Trame di Quartiere a San Berillo, i Briganti di Librino, i volontari di FIERi, di Orti del Mediterraneo a Misterbianco e quelli del Parco del Mito a Zafferana, soggetti che ho potuto conoscere più da vicino grazie alla campagna d’interviste svolta, restituendo al territorio inediti presidi civici e culturali.
Quale è la conclusione a cui sei arrivata. Quale è la scossa ‘urbana’ e ‘architettonica’ di cui ha bisogno Catania?
Credo fermamente che il primo passo per concorrere alla rigenerazione formale e sociale della città contemporanea sia il riconoscimento del ruolo che cittadini attivi e rappresentanti del terzo settore assumono rispetto queste tematiche. Il senso di quanto accennato potrebbe essere sintetizzato in una sola parola: partecipazione. Soggetti come quelli intervistati incoraggiano gli abitanti dei quartieri di riferimento ad essere parte attiva della riqualificazione del proprio quartiere o della più estesa città. In questo contesto appare logico affermare che il ruolo attivo dei cittadini, che si prendono cura di un bene pubblico materiale (una strada, una piazza, un edificio in stato di abbandono) comporta una miglioria formale della città, rendendola più bella, accogliente e viva. Ciò che però rende altrettanto potente le pratiche d’uso e riqualificazione urbana promosse dai cittadini è la comunità che vi si costituisce intorno, il valore che queste assumono rispetto alle sue ripercussioni sul capitale sociale. L’avvio di pratiche partecipative di utilizzo e trasformazione del territorio permettono di maturare una nuova consapevolezza per cui ognuno è portatore di competenze e idee che possono, insieme, in maniera concreta, contribuire a migliorare non solo lo spazio urbano il quale assume, nell’immaginario collettivo di chi lo tutela, se ne prende cura e lo trasforma, una nuova accezione quale quella di bene comune, ma il bene comune che viene prodotto in queste occasioni è anche legato ai valori di legalità, cultura, opportunità. Curarsi di un luogo, di uno spazio, assumersi la responsabilità della sua rigenerazione e manutenzione, permette di mutare l’atteggiamento che si ha nei confronti di tale bene, sviluppando una forte affezione che consente di percepire tale bene non più come di proprietà dello Stato, ma come proprietà di tutti e per cui tutti sono responsabili.
Cosa ne pensi del progetto Corso dei Martiri? Si ‘farà’ mai?
È difficile dirlo con certezza. Ci sono in ballo progetti interessanti, ma spesso questi nella loro attuazione vengono storpiati, deludendo le aspettative. Non so quando e in che modo si farà il progetto di Corso dei Martiri, ma su una cosa sono convinta fermamente: l’amministrazione non si può permettere nuovamente di sbagliare su quest’area che da ormai settant’anni paga le conseguenze di una politica urbana impreparata e intrisa di interessi che poco hanno a che fare con il bene comune della città e che ancora oggi restituisce al centro di Catania enormi vuoti urbani.
Cosa diciamo agli amministratori di Catania? Qualche consiglio?
Coinvolgete la comunità e promuovete la partecipazione alla vita urbana, nei suoi diversi aspetti. I rappresentanti del terzo settore a Catania si sono più volte dimostrati entusiasti e disponibili a collaborare con l’amministrazione locale, restituendo proposte e riflessioni. Occorrerebbe avviare processi di ridefinizione della governance locale che metta in atto il principio di sussidiarietà orizzontale nell’ottica di riconoscere e legittimare le iniziative dei cittadini volte al perseguimento dell’interesse generale e avviare una fase di cooperazione tra i diversi soggetti in gioco permettendo così l’integrazione tra le competenze professionali della pubblica amministrazione e il sapere locale dei cittadini attivi rispetto le criticità e i bisogni di uno specifico quartiere. Oltretutto questo permetterebbe nel caso catanese un cambiamento di prospettiva nel considerare il rapporto tra pubblica Amministrazione e cittadini. I cittadini assumono una nuova consapevolezza: non sono più destinati ad essere oggetti passivi rispetto alle scelte assunte dall’istituzione pubblica, ma al contrario gli viene riconosciuto il diritto di essere parte attiva del processo decisionale. Allo stesso tempo la collaborazione non implica solo diritti, ma anche doveri: cittadini e Amministrazione assumono lo stesso valore potenziale rispetto al conseguimento dell’interesse generale attraverso la collaborazione, che a sua volta implica la condivisione di responsabilità e risorse.