Noi, l’Ordine e il sindacato dei giornalisti, l’avevamo detto subito. Pur con tutta la stima e la solidarietà possibili verso i magistrati di Palermo, la seconda perquisizione in quattro mesi e il sequestro a Riccardo Lo Verso non li avevamo capiti dal punto di vista giuridico, non li avevamo accettati sotto l’aspetto personale e collettivo, li avevamo bene interpretati nel loro senso “politico”: l’atteggiamento nemmeno velatamente punitivo, anzi apertamente repressivo contro un collega bravo, valoroso, onesto e corretto quanto apparentemente poco “coperto”, era un segnale, quello che una volta si sintetizzava con un motto che evoca tempi bui e scenari altrettanto opachi, colpiscine uno per educarne cento.
Avevamo visto giusto. Il sequestro era illegittimo in radice, come dicevano i latini, non poteva e non doveva essere fatto. Il tribunale del riesame lo dice chiaro e tondo: dimostrando una modernità e una sapienza giuridica non comuni, i giudici hanno applicato la giurisprudenza più avanzata, italiana e soprattutto europea, sul “diritto del giornalista di proteggere le proprie fonti, che fa parte della libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza ingerenza alcuna da parte delle autorità pubbliche”. Perché il giornalista la cui privacy professionale viene violata si vede “pregiudicare la futura attività, dato che la sua reputazione sarebbe lesa anche agli occhi delle future fonti”.
Difficile credere che i pm – tutte persone in buona fede, serie e preparate – che hanno disposto il provvedimento oggi dichiarato illegittimo non sapessero sin dall’inizio che si trattasse di un’iniziativa senza senso, oltre che senza pregio giuridico. Difficile che non sapessero che, come scrive il tribunale, gli articoli 200 e 256 del codice di procedura penale “tutelano il segreto giornalistico e impongono la massima cautela (parole sottolineate dai giudici, ndr) nell’utilizzazione degli strumenti della perquisizione e del sequestro nei confronti dei giornalisti, in considerazione della particolare delicatezza dell’attività da costoro svolta e delle potenziali limitazioni che alla libertà di stampa potrebbero derivare da iniziative immotivatamente invasive”. Difficile che non sapessero che “una ricerca incontrollata delle fonti di certe notizie rischia di dare luogo ad un sostanziale aggiramento del principio” del segreto professionale.
Però l’hanno fatto lo stesso. Sequestro, perquisizione, acquisizione dei dati del traffico telefonico, esame delle e-mail e degli sms del collega. E senza mettere Riccardo in condizione di opporre il segreto professionale rispetto alla consegna di quanto gli veniva richiesto. A questo punto, sommessamente “sdoppiandosi”, il presidente dell’Ordine, tralasciando di essere un cronista giudiziario, collega e amico di Lo Verso, si permette di dare un suggerimento: quello di fermarsi un attimo a riflettere. Riflettere su questo assurdo clima da caccia al giornalista, su certo estremismo delle idee e dei comportamenti, sulla pretesa di esprimere il pensiero unico che tante critiche ha procurato agli “altri”, ma per il quale oggi non si chiede ma si pretende il consenso, se non gli osanna della piazza.
Tutto questo non giova, rischia di trasformarsi in un boomerang, in un pericoloso scivolone istituzionale. Soprattutto – sia detto senza retorica – non si addice a un’istituzione seria, in cui crediamo senza riserve, come la magistratura di un Paese democratico e come la magistratura di Palermo in particolare. Magistratura che, col provvedimento del tribunale del riesame, ha oggi ribadito un principio essenziale, al quale tutti – non per farci un piacere, ma per obbligo istituzionale e costituzionale – devono ispirarsi nei rapporti con noi giornalisti: il rispetto.
Un’ultima notazione, che poi è un ringraziamento all’avvocato Marcello Montalbano, che ha assistito Riccardo Lo Verso con grande professionalità e che fa parte del gruppo di legali coordinati dall’avvocato Nino Caleca. Professionisti ai quali l’Ordine si appoggia per assicurare – assolutamente gratis – a tutti i colleghi una consulenza, un aiuto, una parola di conforto in un mondo, ahinoi, sempre più condizionato dalla carta bollata e sempre più caro, anche in tempi in cui fare il giornalista è sempre meno gratificante dal punto di vista economico e sempre più rischioso dal punto di vista giudiziario. E non solo da questo punto di vista.
Riccardo Arena