Imprenditore della movida “colluso” con la mafia: ordinato il carcere

Imprenditore della movida “colluso” con la mafia: ordinato il carcere

Ma il provvedimento è sospeso

CATANIA – La quinta sezione penale del Tribunale di Catania ha ordinato la custodia cautelare in carcere per Salvatore Raciti. Un imprenditore conosciuto. A lui e suo padre Carmelo sarebbero riconducibili, per la Dda, numerosi locali della movida e anche una discoteca e un pub frequentatissimi dai giovani. Sono indagati per concorso esterno in associazione mafiosa. Nello specifico, la Dda ritiene Salvatore Raciti colluso con il gruppo dei “carateddi”, una costola del clan Cappello di Catania.

L’ordinanza di custodia (che riguarda solo uno dei capi d’accusa per cui è indagato) tuttavia è sospesa fino a quando il provvedimento della presidente Laura Benanti non diventerà definitivo. Secondo la Dda di Catania e secondo il procuratore aggiunto Ignazio Fonzo e la sostituta Tiziana Laudani, Raciti, pur restando “apparentemente estraneo al clan”, sarebbe stato a disposizione della mafia. Avrebbe fornito un contributo “consapevole e volontario, causalmente rilevante per il suo rafforzamento e l’attuazione degli scopi sociali”.

Le dichiarazioni del pentito

Secondo le dichiarazioni di uno dei collaboratori di giustizia, in cambio della disponibilità di Carmelo e Salvatore Raciti, “il clan Cappello – così come quello dei Santapaola – assicurava protezione e tranquillità in occasione delle serate”. Gli appartenenti a Cosa Nostra e al clan Cappello, per il pentito “godevano del libero ingresso nelle strutture balneari e ricettive dei Raciti, di bungalow agli stessi riservati, di luoghi in cui effettuare incontri e summit, della possibilità di organizzarvi eventi, quali matrimoni o battesimi”.

In questi casi avrebbero corrisposto “unicamente il compenso destinato ai camerieri”. E avrebbero potuto beneficiare persino di un luogo “ove occultare l’arsenale di pertinenza del clan”. Avrebbe garantito, tra l’altro, la custodia dell’arsenale di Salvuccio Lombardo Junior, che all’epoca era a capo del gruppo di fuoco del clan Cappello.

Il segreto del suo successo

Inoltre a Raciti la cosca avrebbe assicurato “l’affermazione imprenditoriale sua e del padre, sia con riguardo al lido balneare, che alla discoteca”.  Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sui rapporti, nel tempo, tra i Raciti ed i clan Santapaola (Carmelo Raciti) e Cappello (padre e figlio) secondo l’ordinanza avrebbero trovato riscontri nelle intercettazioni.

L’autodifesa non convince

Dal canto suo, Salvatore Raciti ha sempre professato la sua più totale estraneità ad ambienti malavitosi, ma le sue dichiarazioni, per il tribunale, appaiono scarsamente convincenti. Le intercettazioni infatti consegnerebbero i “rapporti amichevoli tra i Raciti e plurimi esponenti mafiosi”. Inoltre gli incendi non dolosi che in estate hanno interessato lo stabilimento balneare, eventuali furti e le risse scoppiate nella discoteca non basterebbero per definirlo lontano da quegli ambienti.


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