PALERMO – Dopo la “settimana di passione” all’Ars, con lo scivolone sul Defr e con l’esercizio provvisorio approvato solo grazie all’astensione delle opposizioni, il presidente Musumeci si è augurato di passare una Buona Pasqua. Pochi giorni di serenità prima di tornare a fare i conti con quel piccolo numero a due cifre che è diventato ormai un miraggio: 36. Quei trentasei deputati regionali, 36 voti, che servono per avere dalla propria una maggioranza a Palazzo dei Normanni che permetta di governare senza essere ostaggio di gruppi, fazioni, opposizioni. “Non sarò ostaggio di nessuno”, ha detto Musumeci. E allora ecco che servono i numeri. Ma dietro ai numeri ci sono parlamentari scontenti e musi lunghi con cui il governatore deve, volente o nolente, fare i conti. E al più presto, visto che la discussione sulla Finanziaria è stata soltanto rinviata. E i voti “decisivi” sono comunque molto vicini.
Gli “anti-Miccichè”
In origine fu Figuccia. La primissima grana per Musumeci risale a pochi, pochissimi giorni dall’insediamento del suo governo. L’assessore all’Energia, con delega ai Rifiuti, Vincenzo Figuccia, in quota Udc, si dimette improvvisamente. “Voglio essere libero”, disse. Tradotto: libero anche di attaccare il presidente dell’Ars Gianfranco Micciché, con cui la rivalità è da sempre alle stelle. Erano i giorni delle polemiche sulle dichiarazioni in merito al tetto degli stipendi e Miccichè, oltre a difendersi dagli attacchi dei nemici, doveva guardarsi anche dal fuoco amico: Figuccia, parte della stessa coalizione, era tra i suoi più feroci oppositori. Risultato: la maggioranza di Musumeci comincia a scricchiolare già a pochi giorni dall’inizio della legislatura, con gli alleati che si guardano in cagnesco.
Nemmeno il tempo di far calare il silenzio sulle prime frizioni in maggioranza che in Forza Italia scoppia una guerra “fratricida”. Nasce il cosiddetto fronte dei “ribelli”. Sono in quattro: Marianna Caronia, Tommaso Calderone, Rosanna Cannata e Riccardo Gallo (comparsa: Luigi Genovese) e chiedono strenuamente le dimissioni di tutta la dirigenza del partito. Nel mirino c’è di nuovo il presidente Miccichè, che del partito è anche coordinatore regionale, e il presidente del gruppo parlamentare all’Ars, Giuseppe Milazzo. Le accuse sono le più disparate, ma si possono riassumere tutte in una sola: gestione oligarchica del partito. “Nessuna condivisione delle linee guida del partito”, attaccano; “solo ripicche per non aver avuto ruoli importanti e posti nelle liste per le Politiche”, ribattono i tanti sostenitori di Miccichè dentro al partito. Tensioni che hanno portato già alla prima fuoriuscita eccellente quella di Marianna Caronia, che è passata al gruppo misto. Le conseguenze sulla maggioranza di Musumeci: incontrollabili. I quattro dovrebbero restare organici alla coalizione, ma non è escluso che il presidente della Regione possa ritrovarsi a pagare per ripicche interne o colpi collaterali.
Le liti nella Lega
Dopo il successo insperato alle elezioni del 4 marzo, la Lega Nord, che ha conquistato le urne anche in Sicilia, passa a riscuotere. Parte della coalizione di centrodestra, non ha avuto un posto in giunta. “Adesso – disse Tony Rizzotto, deputato regionale della Lega, all’indomani del voto, commentando il risultato elettorale del suo partito – credo non sia più procrastinabile un confronto politico con il presidente della Regione e con le forze del Centrodestra siciliano, perché sia data la giusta rappresentatività e responsabilità di governo alla quarta forza politica dell’isola”. Confronto che ancora pare non esserci stato. C’era chi pensava che, andato via Sgarbi, si sarebbe aperto un posto in giunta, ma Forza Italia ha preteso di mantenerlo nella sua quota. Con buona pace dei colleghi leghisti della coalizione. Intanto, già che c’era, Rizzotto si è scontrato frontalmente con un altro “leghista di Sicilia”, cioè il parlamentare (rieletto) Alessandro Pagano che “nell’ambito di una riunione organizzata per ringraziare gli elettori – fa sapere proprio Rizzotto – ha proceduto alla proclamazione di sé stesso quale segretario regionale del partito, nominando nel contempo il segretario provinciale e i quadri dirigenti in provincia di Palermo”. Una decisione contestata da Rizzotto: “Non risulta che qualcuno abbia mai proceduto ad assegnare, a chicchessia, incarichi di coordinamento territoriali, nel partito di Matteo Salvini nella sua nuova organizzazione”. Intanto, l’unico leghista all’Ars resta al misto. Un battitore libero.
Le tensioni nell’Udc
Si è dimessa a sorpresa dalla carica di capogruppo dell’Udc, Margherita La Rocca Ruvolo. inopportunità del doppio incarico, è la motivazione ufficiale, visto il ruolo di presidente della Commissione Sanità dell’Ars. In realtà, pare che i motivi siano diversi e rientrino, anche questo caso, nelle fibrillazioni della maggioranza di Musumeci. Rimasta fuori dalla giunta per far posto a Figuccia (poi dimesso) e a Mimmo Turano, esclusa anche dall’ufficio di presidenza, la Ruvolo non si sentirebbe più rappresentata dal suo partito.
Cateno e il caso Messina
Ultimo motivo di preoccupazione per il presidente della Regione Nello Musumeci sono le Amministrative di Messina. Cateno De Luca, parlamentare regionale del movimento Sicilia Vera, iscritto al gruppo misto e organico alla maggioranza di governo non avrebbe apprezzato il fatto che la coalizione starebbe pensando di candidare qualcuno in una competizione in cui lui sarà protagonista, avendo già ufficializzato la propria candidatura a sindaco in vista delle elezioni del 10 giugno. Che possa essere questo un nuovo motivo per cui Musumeci dovrà sentirsi ostaggio di qualcuno?