Iniezioni d'aria per uccidere: "Accanimento sulla vittima"

Iniezioni d’aria per uccidere: “Accanimento sulla vittima”

Le motivazioni della sentenza della Corte d'Assise che ha condannato all'ergastolo il barelliere Davide Garofalo.
AMBULANZE DELLA MORTE
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CATANIA – Non avrebbe avuto alcun rimorso di coscienza. E si sarebbe accanito sulle vittime, fino a farle morire, pur di guadagnare meno di un centinaio di euro. Così è descritto Davide Garofalo, condannato all’ergastolo per le morti sospette in ambulanza a Biancavilla, dalla Corte d’Assise di Catania presieduta dal giudice Sebastiano Mignemi. Le motivazioni della sentenza di condanna sono esplicate in poco più di 80 pagine.

“Davide Garofalo non ha desistito dal proposito nemmeno nel caso una delle vittime fosse sopravvissuto alla prime insufflazioni di aria, accanendosi sullo stesso fino a portare a compimento il proprio programma criminoso”, scrive la Corte. Il barelliere è uno dei due imputati (Agatino Scalisi sta affrontando l’abbreviato, ndr) accusato di aver cagionato la morte di alcuni malati terminali per embolia gassosa venosa attraverso iniezioni d’aria. 

I giudici dell’Assise hanno passato in rassegna testimonianze, intercettazioni e anche i pareri dei consulenti medico-legali sul “metodo” utilizzato per uccidere.

La Corte ha ritenuto riscontrate i racconti dei testi e dell’unico testimone oculare. L’inchiesta dei carabinieri parte da un esposto dei giornalisti de Le Iene (nel 2017) che hanno raccolto “le testimonianze di Luca Arena, titolare di un’impresa di pompe funebri di Biancavilla e dal suo dipendente Alfio Sangiorgio”. I due hanno raccontato “che durante il trasporto a bordo dell’autoambulanze privata dell’ospedale di Biancavilla verso le abitazioni delle vittime, alcuni malati terminali – ricostruiscono i giudici – sarebbero stati uccisi mediante iniezioni di aria in vena effettuate attraverso l’ago cannula che era stato loro applicata per finalità terapeutiche e ciò al fine di lucrare il compenso previsto per la vestizioni delle salme e l’eventuale ulteriore somma percepita nel caso di procacciamento del funerale da parte della medesima ditta o di altra ditta e dell’ulteriore somma corrisposta dai familiari per il trasporto dei deceduti che sarebbe stato oggetto di spartizione tra i clan”. 

Il teste chiave è Alfio Sangiorgio, il testimone oculare che nell’immediatezza nei fatti si è confidato con Luca Arena. E poi, ascoltato in dibattimento ha raccontato ciò che ha visto. In un’occasione “ha visto Davide Garofalo iniettare l’aria in vena agli ignari pazienti trasportati” e avrebbe “tentato di fermarlo” ma ha spiegato “di essere stato zittito” perché l’imputato avrebbe detto “che aveva bisogno di soldi”

Per la Corte il narrato è “coerente, spontaneo, costante, lineare e circostanziato”. E inoltre non vi sarebbe alcun “rancore” come invece ha evidenziato dalla difesa. Che ha fatto riverito all’attrito che ci sarebbe stato tra il teste e l’imputato dal punto di vista professionale. “Questi lo avrebbe sostituito nel servizio a bordo dell’autoambulanza sottraendogli così i soldi delle vestizioni”, sintetizzano i giudici, che però ritengono che la testimonianza non sia animata da alcuna forma di “rancore”. 

La versione di Sangiorgio per la Corte sarebbe riscontrata anche dalle dichiarazioni dei fratelli Luca e Giuseppe Arena, i due hanno raccolto anche le “confidenze di Garofalo”. 


Per la Corte non avrebbe un peso il fatto che i due titolari della ditta di pompe funebri prima di parlare con l’autorità giudiziaria decidano di rivelare questo aspetto ai giornalisti de Le Iene: dietro ci sarebbe stata la paura di “provocare le reazioni dei clan mafiosi che avevano imposto la presenza nella propria ditta del Garofalo (dietro c’erano Nino Quaceci e il clan di Adrano) e dello Scalisi (dietro c’erano Pippo Amoroso e il clan di Biancavilla)”. “Denunciare significava denunciare tutto il sistema”, riassume la Corte. 

Luca Arena, inoltre, ha raccontato che “il primo soggetto a raccontargli cosa avveniva era proprio l’imputato, il quale gli aveva anche rivelato un macabro particolare: dicendogli che la vittima era “dura a morire” e che aveva dovuto praticare più iniezioni”. 

A chiudere il puzzle sono arrivate anche le rivelazioni (“ulteriori riscontri”, scrive la Corte) dal collaboratore di giustizia Valerio Rosano, figlio di uno dei vertici della famiglia mafiosa di Adrano. 

Il pentito “ha riferito di aver incontrato Garofalo – riassumono i giudici d’Assise – mentre era impegnato nella sistemazione di una salma durante un funerale tenutosi ad Adrano nel 2011 e che alla sua proposta di fornirgli aiuto questi aveva risposto che lui per cento euro ammazzava le persone stordendoli durante il trasporto in ambulanza con dei colpi di sterzo in modo da farli arrivare a casa già deceduti”. Rosano ha precisato che poi “nel corso della conversazione aveva tentato di minimizzare dicendo che stava scherzando”. 

Il collaboratore poi parla degli accordi che ci sarebbero stati tra i clan di Biancavilla e Adrano dopo la scarcerazione di Alfredo Maglia (ucciso nel 2014) in merito ai trasporti dei pazienti dell’ospedale biancavillese. Ed ha precisato che l’unica ditta a partire dal 2013 ammessa a “lavorare presso l’ospedale di Biancavilla” era quella di Arena. 

Quando Le Iene mettono in onda il servizio sulle morti sospette scatta la preoccupazione tra i clan. Questo almeno quello che racconta ancora una volta Rosano.


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