La Corte dei conti e i portaborse | “Non possono essere stabilizzati” - Live Sicilia

La Corte dei conti e i portaborse | “Non possono essere stabilizzati”

I magistrati contabili stoppano l'ipotesi di assunzioni all’Ars: lavoratori chiamati dai politici

LA SEZIONE DI CONTROLLO
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PALERMO – I portaborse e gli “esterni” dell’Ars non possono essere stabilizzati. La sezione di controllo della Corte dei conti, con una delibera con la quale ha approvato i rendiconti dei gruppi parlamentari, ha sancito alcuni principi-chiave per la gestione del personale che lavora nel Palazzo. Parole nette, che mettono un po’ di ordine nel caos delle assunzioni dei partiti all’Ars: 184 dipendenti sono arrivati solo negli ultimi mesi tra i “D6” e i cosiddetti “stabilizzati”,.

Il presidente delle sezioni riunite della Corte dei Conti, Maurizio Graffeo

Un termine improprio quest’ultimo, secondo il presidente della Sezione, Maurizio Graffeo. La Corte dei conti, di fatto, stoppa sul nascere ogni ipotesi di assunzione a tempo indeterminato all’Ars dei tanti collaboratori chiamati dai gruppi nel corso delle legislature, dai contratti più antichi ai più recenti. Ovvero quelli dei cosiddetti “stabilizzati”, lavoratori già da molti anni tra i dipendenti dei gruppi parlamentari, e gli altri esterni assunti con l’avvio della nuova legislatura.

A proposito dei primi, la Corte precisa che “non è possibile una sorta di ‘stabilizzazione’ da parte dell’Ars, sia perché si tratta di personale chiamato di volta in volta su base esclusivamente fiduciaria, con contratti di diritto privato, sia in quanto la parte datoriale è identificabile con i gruppi parlamentari, ovverosia con soggetti qualificabili come associazioni non riconosciute di natura privatistica, ben diversi dall’Assemblea”. Insomma, i magistrati contabili spiegano che “la situazione è del tutto dissimile dalle ipotesi di stabilizzazione del personale precario delle pubbliche amministrazioni”. E i motivi sono sotto gli occhi di tutti: la natura fiduciaria dei rapporti di lavoro (tradotto: i dipendenti sono stati chiamati direttamente dai politici) e il fatto che si tratta di personale “che non ha mai prestato alcuna attività lavorativa per conto dell’Ars”.

Così, per la Corte è anche improprio, sia dal punto di vista formale che sostanziale, parlare di “personale stabilizzato”: “I gruppi, – si legge – di natura eminentemente transitoria, non possono certamente procedere con la stabilizzazione di dipendneti assunti in passato da soggetti giuridici diversi, benché di analoga matrice politica”. Insomma, non può certamente essere l’Ars a stabilizzare questi lavoratori visto che gli stessi non hanno mai lavorato per l’Assemblea.

I magistrati, così, “stoppano” sul nascere le ipotesi di una legge che consenta l’assunzione a tempo indeterminato degli esterni dell’Ars. E che le parole della Corte fossero finalizzate anche a lanciare un “avviso” al legislatore regionale, è evidente in un passaggio della deliberazione. “Sarebbe diametralmente contrario ai principi costituzionali – si legge – ipotizzare che possa venire stabilizzato un dipendente chiamato in via assolutamente fiduciaria”. I magistrati fanno notare infatti, che in questo caso basterebbe la fiducia di un ristretto gruppo di deputati per essere infine stabilizzati. La Corte quindi prosegue: “La circostanza che parte del personale sia stato richiamato per diverse legislature costituisce il frutto di scelte libere e specifiche dei singoli gruppi”. Insomma, non c’è alcuna ragione, secondo le toghe, “di un’eventuale ipotesi di stabilizzazione”.

Ma insieme agli stabilizzati, ecco gli altri esterni, i cosiddetti “D6”, i cui compensi sono il frutto di un trasferimento ai singoli deputati regionali. Oltre a precisare che quella somma non va vista come un “contributo per un singolo dipendente”, e oltre a sollevare il rischio che a una posizione economica elevata non corrisponda una mansione appropriata, i giudici contabili puntano il dito contro il numero di esterni assunti. “Il criterio di calcolo del quantum complessivo dei contributi da erogare – si legge – porta con sé il rischio dell’assunzione di un numero sproporzionato di dipendenti, anche da parte di gruppi modesti. Appare evidente – prosegue la Corte – come non si possa prevedere sic et simpliciter l’assunzione di un numero sproporzionato di dipendenti, senza alcun ancoraggio alle reali necessità operative del gruppo”.

Infine, i magistrati sottolineano la necessità di una “omogeneizzazione” delle due categorie differenti. Le assunzioni, insomma, “appaiono difficilmente riferibili alle reali necessità operative dei gruppi, come i evince ictu oculi dallo stesso aumento improvviso del numero complessivo dei dipendenti rispetto alla legislatura precedente, a fronte, paradossalmente, di una consistente riduzione del numero dei deputati”. Meno politici, ma più collaboratori. È il paradosso dell’Ars. Col quale si getta a mare una bella fetta del risparmio ottenuto dalla riduzione dei parlamentari.


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