PALERMO – Loro litigano, e la Sicilia affonda. Palazzo Chigi tira le orecchie all’esecutivo Crocetta ormai con una cadenza quotidiana. Dal canto suo, il governatore salta sulla sedia, chiedendo subito i soldi promessi dallo Stato, salvo poi precisare che “nessun problema c’è oggi col governo Renzi”. Schiaffoni virtuali. Liti apparenti tra ologrammi di potere. Che celebrano la propria vacuità in “vertici di maggioranza” nei quali periodicamente viene ribadita l’armonia della maggioranza e viene rilanciato l’elenco delle riforme da compiere, non certo col fare sommesso di chi non ne ha ancora portata a termine una, ma con la soddisfazione di chi quelle riforme le ha già compiute e non solo annunciate.
In mezzo, però, gli schiaffoni veri arrivano ai siciliani. A trenta, quarantamila cittadini messi in mezzo dalle beghe giornaliere tra Crocetta e gli aspiranti dopo-Crocetta. Tra Palermo e Roma. E le ragioni di questo braccio di ferro (o meglio, i torti), possono essere equamente ditribuiti tra i due governi che comandano in Sicilia.
La primavera era appena entrata, quando una delegazione a Roma del Pd siciliano (senza il governatore Crocetta) “strappava” una promessa al governo Renzi: presto sarebbero giunti in Sicilia i circa 300 milioni che lo Stato avrebbe riconosciuto all’Isola in cambio degli incassi delle imposte illegittimamente “tolti” alla Regione. “E’ tutto fatto”, esultavano i vari Raciti, Gucciardi, Cracolici. E su quella promessa verbale, il governo ci ha costruito una intera Finanziaria. Prevedendo quelle somme in bilancio. Certo, con una precisazione: “Sono certi, ma se non dovessero arrivare…”. Intanto, di certo c’è solo che quei soldi Roma non li ha ancora trasferiti, come ha ribadito Crocetta recentemente. Cosa succederebbe se non arrivassero? Semplice: verrebbero dimezzati i budget per Comuni e Province (che quindi, ovviamente, potranno solo portare i libri in tribunale), verrebbero tagliati i finanziamenti per i disabili, per gli ex Pip, per i precari degli stessi Comuni. Un disastro. Per i siciliani, ovviamente. A cui arriverebbe la “batosta” dovute alle liti altrui. Le stesse che hanno portato ad esempio il governatore a protestare contro la decisione del governo Renzi di “riprendersi” centinaia di milioni dei cosiddetti fondi Pac. Soldi che Roma ha deciso “retroattivamente” di incamerare dalle Regioni (tutte, quindi) per finanziare, come previsto nella legge di stabilità, lo sgravio per le assunzioni. E tra i fondi ripresi per la discutibile scelta del governo romano e per le croniche lentenzze dell’esecutivo regionale, quelli del Piano giovani, destinati ai ragazzi siciliani, o quelli – essenziali come è stato evidenziato dai recenti crolli – destinati al dissesto idrogeologico. A pagare, anche qui, ovviamente i siciliani che si “tolgono” il pane dai denti per finanziare stabilizzazioni che, nella maggior parte dei casi, non potranno che realizzarsi al Nord.
Ovviamente, il governo Crocetta c’ha messo del suo. Eccome. Non riuscendo quasi mai a tramutare gli annunci in riforme vere. Sottovalutando, molto spesso, gli effetti concreti di questi ritardi. Pochi giorni fa, ad esempio, migliaia di lavoratori delle ex Province hanno sfilato contro l’esecutivo regionale preoccupati per il proprio futuro. E del resto, dopo un annuncio giunto ormai più di due anni fa: “Abbiamo abolito le Province”, non è stato compiuto nessun passo in avanti, se non quello di lunghi e in qualche caso fallimentari commissariamenti che hanno lasciato l’ente in uno stato di abbandono, dalle strade alle scuole. La Sicilia, infatti, non è riuscita a trasferire le funzioni ai Liberi consorzi. Non ha ancora deciso, insomma, cosa farne. E in questo ritardo clamoroso, gioca da un lato la volontà del governatore di non limitarsi, come in tanti gli hanno chiesto anche nella sua maggioranza, a recepire il decreto Delrio, valido nel resto d’Italia, dall’altro lato gli “screzi” all’interno di un Partito democratico costantemente diviso e rissoso. Tra cuperliani, renziani e fedelissimi del governatore. Divisioni che hanno portato alla bocciatura, grazie al voto segreto, della legge giunta a Sala d’Ercole un paio di mesi fa. Ed è tutto da rifare.
Come è tutto da rifare anche nella Formazione professionale. Dove il governo Renzi ha minacciato uno dei suoi “commissariamenti”. Il governo Crocetta ha reagito annunciando la pubblicazione dei nuovi Avvisi sui corsi. Che giungono già in evidentissimo ritardo. Il motivo? La superficialità nel preparare atti importanti come quelli sul nuovo sistema di accreditamento. Sbandierato, anche questo, come uno dei mattoni per costruire la rivoluzione nel settore, e ammainato grottescamente di fronte a una sentenza del Tar che ha bocciato quel regolamento percheé, molto semplicemente, no doveva essere firmato dall’allora assesssore Nelli Scilabra, bensì dal governatore. Uno stop che ha fermato tutto. E rischia di lasciare gli ottomila dipendenti della Formazione (senza contare i 1.800 ex sportellisti, anche questi a un passo dal licenziamento dopo la confusa gestione operata dal Ciapi di Priolo) per mesi senza un lavoro, uno stipendio un vero ammortizzatore sociale e forse senza un futuro.
E a proposito di “futuro”, durante la discusisone della Finanziaria si è assistito alla “crasi”, alla fusione degli ologrammi dei due governi, “impegnati” nell’ennesimo gioco del “posticipare”. Durante la discussione della legge di stabilità alcuni argomenti (dai trasporti ai Beni culturali) erano stati tenuti fuori per espressa indicazione dell’assessore all’Economia Alessandro Baccei, “inviato speciale” di Roma. “Dal giono dopo l’approvazione della Finanziaria iniziamo a discutere di questi argomenti tramite delle leggi specifiche da approvare in 60 giorni”. I sessanta giorni sono quasi passati. Conditi dalle nuove recentissime liti tra Crocetta e i renziani, che apparentemente – ormai è chiaro – chiedono di staccare la spina al governo. Giochetti e recite, in vista delle prossime elezioni. Nel frattempo, i siciliani affondano.