Ha scritto una lettera, Antonio Raffaele, preside dell’Umberto I. Una lettera aperta al consiglio di istituto, ai docenti ai genitori degli alunni, agli studenti e alle studentesse. Titola “No alla violenza” ed è “un invito alla riflessione per vedere la realtà qual è” spiega il dirigente. Parlo di tutte le violenze, non solo quelle fisiche E anche la violenza da parte delle istituzioni. Ma purtroppo non posso entrare nel merito di quello che è successo sabato. Perchè non lo so”.
Il dirigente spiega che dalla primavera dell’anno scorso il liceo Umberto I è stato teatro di scontri tra gruppi di fazioni opposte: “In primavera – racconta Raffaele – ci fu una rissa. Volarono anche le sedie del bar qua vicino e coinvolse anche i ragazzi che stavano uscendo dall’istituto. Qualcuno perdeva sangue dalla testa. Io non c’ero e una volta tornato, quando mi hanno raccontato cosa fosse successo, ho cercato di leggere questi fatti”. Da quell’evento quasi tutti i fine settimana succedeva qualcosa. Lo scorso 25 settembre, il preside ha raccolto la testimonianza di una mamma. “C’erano dodici ragazzi vestiti di nero e di grigio. Avevano posteggiato i motorini davanti al classico, per poi nascondersi qua dietro. Al grido ‘Andiamo!’ si sono scaraventati sui ragazzi che stavano facendo volantinaggio con i caschi in mano. Sono volate botte e poi immediatamente sono scappati”. La polizia quel giorno arrivò a cose già fatte. Allora il preside inviò una nota alla questura, chiedendo che venissero compiuti sopralluoghi davanti al liceo, in orario di uscita. “Sabato – ricorda Raffaele – non avevo capito chi ci fosse davanti alla scuola. Ho chiamato subito la polizia automaticamente, visti i fatti precedenti. Sono sceso di sotto e ho detto di non far uscire i ragazzi finchè tutto non si fosse concluso. Loro pronunciavano slogan a voce molto alta, ma erano tutti ordinati e pacifici. Ho visto due poliziotti in borgese, altri in divisa. Mi sono sentito tranquillo e sono ritornato in ufficio”.
Poi le urla del personale scolastico, dall’ufficio accanto. “Gli agenti stavano immobilizzando a terra i ragazzi. Sono una persona molto emotiva. Sono tornato a sedere in ufficio, avvilito. Cosa potevo fare? Non potevo interferire con la polizia, non sapevo che cosa fosse successo prima, tutto nel giro di pochi minuti”. Il dirigente Raffaele non sapeva che quest’oggi si sarebbe tenuto un nuovo volentinaggio da parte degli studenti davanti al liceo: “Ma va bene che lo facciano, purchè in modo civile” risponde Raffaele, anche se vorrebbe che i riflettori sul suo liceo si spegnessero, per avviare una riflessione.
Il preside dice di essersi accorto che “questi gruppi esterni sono la proiezione di un piccolo gruppo di ragazzi interni alla scuola che indicono una guerra per dire questo territorio è mio, ‘L’Umberto è rosso, l’Umberto è nero'”. “Per questo – dice – bisogna far riflettere i ragazzi su cosa è fascismo e su cos’è antifascismo”. La riflessione che il preside richiede, passa anche da alcuni piccoli confronti che ha avuto con i suoi stessi studenti: “Qualche studente è venuto a dirmi: ‘Voi accettate le liste di ragazzi fascisti’. E i ragazzi di questa lista, mi creda, non sanno nemmeno che cos’è. E dobbiamo mandarli fuori dalla scuola, li trasferiamo in un altro istituto? E poi magari dal Meli li buttiamo all’Einstein?”. La sua lettera è un appello che si rifà anche lei a principi costituzionali: “La scuola pubblica è una scuola di tutti, dove dovrebbe esserci libertà di pensiero[…] e il rispetto della persona umana. Occorre che voi basiate la vostra formazione senza cadere sui dogmatismi mentali […] e aprire la mente alla pluralità di idee”.