La mafia e le onoranze funebri |Il "consorzio" ideato da D'Emanuele - Live Sicilia

La mafia e le onoranze funebri |Il “consorzio” ideato da D’Emanuele

Le motivazioni della sentenza di secondo grado del processo Cherubino: la Corte d'Appello ha inflitto una raffica di condanne. I verbali e le intercettazioni che svelano il sistema messo in piedi dal cugino del capomafia Nitto Santapaola.

CATANIA – Natale D’Emanuele aveva messo in piedi un “consorzio” di imprese che aveva come obiettivo quello di “monopolizzare” la gestione delle onoranze funebri a Catania e non solo. Il cugino del boss Nitto Santapaola non voleva rivali e approfittando del suo nome altisonante e della sua appartenenza, nonchè parentela con il capomafia, aveva fatto terra bruciata attorno i suoi concorrenti costretti a pagare una tangente per ogni servizio che non fosse arrivato alle sue agenzie o quelle da lui direttamente controllate. Leggendo le quasi 180 pagine delle motivazioni della sentenza di secondo grado del processo Cherubino della prima sezione penale della Corte d’Appello di Catania (presideente Riccardo Pivetti) si delinea il sistema mafioso che era stato architettato dall’uomo d’onore (così lo definisce il collaboratore Santo La Causa) Natale D’Emanuele con l’aiuto del figlio e di altri imprenditori delle onoranze funebri, diventati braccio operativo del boss. Un sistema di rete che grazie alle “spie” sparse nelle strutture sanitarie e nei vari quartieri e comuni della provincia riuscivano a intercettare (almeno fino al 2008) il “caro estinto” a cui imporre i servizi funebri.

I magistrati fiutano che Natale D’Emanuele alcuni anni prima della sua scarcerazione si stava preparando il terreno utile per (ri)diventare il leader delle onoranze funebri: a quel punto partono una serie di intercettazioni telefoniche e ambientale che, insieme alle rivelazioni di alcuni collaboratori di giustizia, porteranno al maxi blitz Cherubino. La Corte d’Appello ha rimodulato alcune contestazioni rispetto alle condanne di primo grado: la più significativa è che ha assolto Andrea D’Emanuele dall’accusa di associazione mafiosa, anche se lo ha riconosciuto una delle menti criminali del sistema di illecita concorrenza messo in piedi con metodi “mafiosi”  (così scrivono i giudici). La “pedina” che teneva i contatti con infermieri e “becchini” degli obitori è Santo Spampinato, processato con il rito abbreviato e condannato in via definitiva dalla Cassazione.

La figura di riferimento è Natale D’Emanuele: è lui il vertice del sodalizio mafioso che aveva nel passato il suo quartier generale al Castello Ursino, nella zona dove sorge l’agenzia di pompe funebri D’Emanuele (la stessa che si è occupata delle esequie di Pippo Ercolano). Della figura del 70enne, cugino dello zio Nitto, ne parlano diversi collaboratori di giustizia che sono stati chiamati a deporre nel corso delle udienze del processo. Ex mafiosi e non solo provenienti dalle file della famiglia Santapaola, ma anche di clan rivali. Giuseppe Laudani aveva saputo direttamente da Angelo Santapaola che Natale D’Emanuele era un uomo di vertice della cosca e aveva interessi nelle pompe funebri. Gaetano D’Aquino, ex colonnello dei Cappello, aveva saputo che “una volta uscito dal carcere, Natale D’Emanuele voleva nuovamente il monopolio delle pompe funebri”. E non solo: era dovuto intervenire direttamente per risolvere una questione. Un suo parente era stato avvicinato dal gruppo santapaoliano perchè smettesse di gestire un servizio di ambulanze presso l’ospedale Cannizzaro. Era infatti lì, come dimostra la condanna di alcuni imputati, la fonte di approviggionamento primaria della famiglia d’Emanuele attraverso Spampinato. Nemmeno l’intervento del killer dei Cappello riuscì a risolvere la controversia: Saro Bucolo – ha raccontato il pentito – lo avrebbe avvicinato per dirgli “Gaetano, voi sapete che le onoranze funebri è da una vita che sono della famiglia D’Emanuele”. A completare la lista dei collaboratori di giustizia c’è Santo La Causa che oltre ad affermare la piena organicità di Natale D’Emanuele all’interno dell’organizzazione mafiosa svela anche i metodi con cui il boss riusciva a comunicare con i figli durante la sua detenzione. “Mandava messaggi ai figli dal carcere utilizzando numeri al posto delle lettere” – si legge nel dispositivo dei giudici d’appello.

Ci sono, poi, i racconti (anche se molto parziali per la verità) di alcune delle vittime che non avevano altra scelta che sottomettersi alle intimidazioni (“O si collabora con lui, o chiudono diretti“). Un imprenditore che aveva deciso di investire nel settore senza chiedere previa autorizzazione ai D’Emanuele ha rivelato di aver subito diverse intimidazioni. Dall’ambulanza incendiata alle visite minacciose, con le promesse che se i “servizi li avesse passati a loro sarebbe stato ricompensato con un caffè (100 o 200 euro)”. E poi era arrivato l’avvertimento diretto: “Tu a Catania gli devi portare i servizi a D’Emanuele perchè è della nostra famiglia”. L’imprenditore ha svelato anche alcune regole imposte: per aprire una nuova agenzia occorreva l’autorizzazione dei D’Emanuele a cui doveva andare il 50% degli introiti, per i servizi fuori Catania ai D’Emanuele doveva possare il disbrigo pratiche per un importo di circa 500 euro. Alla fine l’imprenditore ha deciso di mettersi da parte perchè non c’era nulla da fare contro il loro predominio. “Sono stanco di combattere” – ha detto un altro teste che aveva chiuso la sua attività.

Ad un certo punto anche Santo Spampinato avrebbe cercato di uscire fuori dal cerchio mafioso, cercando di mettersi in proprio con altri imprenditori. Ma alla fine anche lui ha desistito ed è tornato sui suoi passi. Uno dei suoi potenziali soci infatti aveva parlato con D’Emanuele e Spampinato aveva capito che il loro progetto imprenditoriale non era fattibile e aveva cercato di convincere anche il suo amico, mettendolo in guardia che la sua vita era seriamente in pericolo: “Finiamola dai! A te, in settimana, ti finisce al cimitero di Catania, te lo dico io!“.

I D’Emanuele, dunque, aveva una fitta rete di informatori operanti negli ospedali. Santo Spampinato da una parte teneva i contatti con il personale parasanitario al fine di garantirsi l’immediata conoscenza dei decessi e dall’altro intimava ai titolari delle altre ditte il rispetto delle regole vigenti “del sistema”. Molte sono le intercettazioni che immortalano le telefonate per far sapere a Spampinato dell’avvenuta morte di un paziente e addirittura in quale reparto fosse avvenuta.

Il network di contatti e imprese sottomesse doveva entrare in questa sorta di “consorzio” pensato da Natale D’Emanuele in vista della sua scarcerazione, poi sfumata a causa del blitz Cherubino. Spampinato in una intercettazione spiega chiaramente che il boss aveva ormai deciso di acquisire tutte le agenzie di onoranze funebri della città contattando personalmente tutti i titolari di aziende operanti nel settore con il chiaro intento di imporre un consorzio al quale tutti dovevano aderire. E che sarebbe servito al cugino di Nitto Santapaola a far crescere gli introiti per la famiglia “Il consorzio e guadagna lui” – spiega Spampinato inconsapevole di essere ascoltato dagli investigatori.


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