La politica muore di tattica| Tanti calcoli e poca visione - Live Sicilia

La politica muore di tattica| Tanti calcoli e poca visione

La folle crisi ferragostana, la marginalità dei siciliani e le giravolte della politica.

In questo tristissimo agosto di crisi il male profondo della politica italiana emerge in tutta la sua disperata miseria. Quel male si chiama tattica, l’attitudine a pensare alla politica con la prospettiva delle settimane, in un eterno presente privo di visione, di lungimiranza, di un’idea di futuro. E in questo triste scenario la marginalità della politica siciliana si mostra ancora una volta in tutta la sua drammaticità.

Un cancro, quello della tattica, che ha consumato e consuma l’Italia e che in questi caldi giorni d’agosto si mostra sul desolante scacchiere della crisi, in cui tutti i giocatori si muovono appunto spinti da calcoli di basso cabotaggio. A partire, ovviamente, dalla figura più ingombrante della scena, quel Matteo Salvini che nel weekend siciliano s’è preso la sua bella dose di fischi e contestazioni, dopo gli show balneari dei giorni scorsi, a riprova che in Sicilia non tutti hanno dimenticato il recentissimo passato della Lega. Il leader del Carroccio vuole andare all’incasso ingolosito dai sondaggi, schivando l’incomodo di una manovra lacrime e sangue che svelerebbe l’infondatezza di tante disinvolte promesse (senza scomodare la leggenda della flat tax, qualcuno si ricorda del famoso taglio delle accise?). E così ha fatto precipitare il Paese in una crisi al buio che potrebbe portare per la prima volta l’Italia a elezioni in autunno. I suoi, dopo averci raccontato che quello del “cambiamento” era il migliore governo dell’universo, devono ora convincerci che invece no, così non si poteva andare avanti. Perché poi, nessuno lo capisce bene, visto che l’alleato di governo a Roma si piegava incondizionatamente a tutti i diktat leghisti. Ma poco importa, quel che conta è andare al voto, persino sfiduciando un governo dal quale i ministri leghisti nemmeno si sono dimessi, roba da riscrivere l’abc della politica.

Da un Matteo all’altro, la politica della tattica fa tornare sugli scudi il redivivo Renzi. Che solo pochi giorni fa spiegava, e con lui il suo fedelissimo siciliano Davide Faraone, che al solo pensiero di incrociare i grillini per strada c’era da lasciare il Pd e fondare un nuovo partito. Ebbene, per restare a galla, adesso l’ex premier teorizza un governissimo che avrà bisogno del patto proprio con i 5 Stelle per nascere. È l’unica carta che Renzi può giocarsi per non affondare: se si votasse a ottobre non ci sarebbe il tempo di attrezzare efficacemente un partito nuovo e nelle liste del Pd zingarettiano gli spazi sarebbero troppo angusti. E allora i 5 Stelle sono un problema superabile. Certo, a Faraone, che ci ha spiegato solo pochi giorni fa che in Sicilia è stato defenestrato perché lui e Renzi si opponevano a ogni forma di confronto con i grillini, verrà per lo meno il mal di testa, ma per andare appresso alle giravolte renziane (“Mai al governo con giochi di Palazzo”, “Se perdo il referendum lascio la politica” e via discorrendo) bisogna essere attrezzati. E chissà che la mossa, disperata ma senz’altro abile, del politico fiorentino possa funzionare: la poltronite ha spesso partorito “responsabili” pronti a dare una mano a qualsiasi cosa ritardi le elezioni. Un bello spauracchio per Salvini che già cantava vittoria.

Vivranno il medesimo travaglio interiore quegli zingarettiani, soprattutto franceschiniani, che ci spiegavano una manciata di giorni fa, che con i 5 Stelle bisognava tentare di parlare per sganciarli dall’abbraccio della Lega e che adesso che l’occasione si presenta vedono il loro leader, Zingaretti appunto, frenare bruscamente, pronto magari a perdere le elezioni ma a riprendersi la maggioranza dei gruppi parlamentari. Ancora tattica. Ma di quelle che rischiano di bruciare una segreteria appena nata dopo l’eventuale voto a ottobre se non la spunterà il piano di Renzi.

Per non parlare di Forza Italia. Da un anno e passa Gianfranco Micciché ci spiega che Salvini è il male. Ora ci sarebbe l’occasione di sganciarsi dal Capitano, formare un governo d’unità nazionale e magari cambiare la legge elettorale che impicca Forza Italia. Ma Silvio Berlusconi è pronto a trattare con Salvini per avere la certezza di essere dentro il centrodestra a ottobre, con un congruo numero di collegi, e allora bisogna ingoiare qualsiasi rospo per portare a casa qualche seggio in più e tirare a campare. Ma davvero andrà così? Il rischio fregatura è altissimo e chissà che non prevalgano altri calcoli e che i forzisti, almeno un pugno di volenterosi, alla fine si imbarchino nel governissimo. Di certo la mossa di Renzi ha dato insperatamente forza contrattuale ai berlusconiani al tavolo con Salvini, che per sventare inciuci ora dovrà concedere qualcosa ai forzisti.

Per i 5 Stelle, il problema in certo senso neanche si pone, perché i grillini in questo anno e mezzo hanno dimostrato che altro che visione, manco la tattica è cosa loro, inanellando una serie di capitomboli che li hanno portati a dimezzare il loro peso elettorale tutto a vantaggio del loro alleato-carnefice e offrendo spesso di sé l’immagine di un pugno di improvvisati che ha vinto alla lotteria. I loro ultrà sui social appaiono teneri oggi nel dire peste e corna di quel Salvini i cui desiderata sono stati legge per i loro rappresentanti in Parlamento. E chissà cosa passa per la testa ai siculi pentastellati che fino a qualche giorno fa ironizzavano sulle aperture di una parte di Pd appresso al loro leader Di Maio, ora che il Pd, il “Partito di Bibbiano” dicevano loro fino all’altro ieri,  diventa l’ultima ancora di salvezza perché i loro amici di Camera e Senato non finiscano a casa.

E infine ci sono le Istituzioni regionali. C’è Nello Musumeci che da mesi teorizza la riscossa del Sud e il compattarsi di un fronte meridionalista che riequilibri lo strapotere nordista. Lo ha ripetuto ancora una volta nei giorni della crisi il governatore, che però se si andrà al voto dovrà affidare la tutela del suo anelito meridionalista a un condottiero, Matteo Salvini, che l’afflato sudista ha nella sua storia e nel suo Dna più o meno quanto i siciliani hanno nel proprio la polenta.

Come ne uscirà l’Italia da questo pazzo ferragosto politico lo capiremo nei prossimi giorni. Confidando nella saggezza dell’unico siciliano che in questa partita a scacchi per fortuna ha voce in capitolo, Sergio Mattarella.

 


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