CATANIA – La religiosità di Franco Battiato “non è riconducibile ad una religione”. Padre Orazio Barbarino, parroco a Linguaglossa e soprattutto custode della spiritualità del maestro nato nella fu Jonia nel 1945 e venuto a mancare lo scorso 18 maggio nella sua casa a Milo, ha consegnato oggi una lunga testimonianza che ne ricapitola il cammino interiore. Una sorta di segnaletica, utile a comprendere un percorso complesso, tra mistica e metafisica tra Oriente e Occidente.
Nelle scorse settimane, Barbarino – che ha concelebrato la messa delle esequie – ha fatto conoscere ai più alcune prassi di Battiato, come quella di pregare ogni mattina con le parole del beato Charles de Focauld. Il testo rilasciato oggi ha come titolo “Franco Battiato: Il trappista della ricerca” e mette assieme più fasi della vita dell’artista etneo. “Ho sempre pensato che l’amicizia tra di noi – scrive il presbitero – fosse la via regale per entrare nella vita e per giungere più facilmente al cuore delle cose. Non c’è nulla di più sorprendente di essa, perché l’amicizia è un dono, un miracolo. La mia amicizia con Franco Battiato risale agli inizi degli anni Ottanta, fin da quando io, giovane sacerdote, mi ero messo insieme ad altri a fare esperienza della bellezza della vita attraverso quella sfida alta e perenne che è il Vangelo di Cristo con la Comunità Tra i Tempi di Acireale”.
Due strade che si incontrano sul cammino, talvolta scivoloso, della verità. “Anche se su strade diverse e con percorsi esistenziali particolarissimi – scrive Barbarino – appartenevamo ad una generazione di persone in ricerca, con la voglia di entrare più profondamente nella vita. L’amicizia con Battiato è figlia di uno sguardo che precedentemente tenevamo sulla vita, ognuno per conto proprio. E si diede allora l’occasione di incontrarci, di raccontarci e di dichiarare la nostra disponibilità a lasciarci coinvolgere in un cammino di ricerca, con assoluta libertà, procedendo su quelle tracce che avevano segnato le nostre esistenze”.
Una sinergia asimmetrica. “Con Franco condividevo tante idee, lui andava alla ricerca della verità e lo faceva continuamente, in ogni cosa. Il suo verbo era sperimentare, era uno che cercava la bellezza e l’essenzialità e in tutto questo ci metteva grande umiltà, coniugandole con la precisione e la disciplina. Era un trappista della ricerca. Quando ci si sente veramente impegnati ad approfondire la vita, ci si sente anche sovranamente liberi. E Franco era tale. Questa sua indole, quella che chiamerà la sua essenza, lo porteranno a cercare, a bussare ad ogni porta, al fine di arrivare alla meta”.
Dalla musica allo spirito: cosa c’è nel percorso di Battiato: “La ricerca dell’aurora – scrive – segnerà per sempre tutta la sua vita, dall’inizio fino all’ultimo istante di essa, vissuta con grandissima dignità aspettando di attraversare il bardo, secondo un’immagine della filosofia buddista o di abbandonarsi, secondo quella preghiera del beato Charles de Foucauld, l’apostolo del deserto, morto perché favorì il dialogo tra cristiani e musulmani, che Franco recitava ogni mattina nella sua meditazione. La musica è stata la sua poetica, la contaminazione il suo stile, ma non rinuncerà alla pittura, alla cinematografia, a tutto ciò che lo aiutasse ad andare oltre la doxa (l’opinione) che è sempre ingannevole e a superare il velo di Maya”.
Il suo insegnamento. “Volere è potere egli diceva, ma senza alcuna arroganza. Nietzsche aveva parlato delle tre metamorfosi: quella del cammello, del leone e del bambino”, continua il parroco di Linguaglossa. “Franco Battiato aveva da tempo rinunciato ad essere un cammello, come ad essere un leone e perseguiva la strada del diventare un bambino. Proprio Gesù nel suo Vangelo dice se non diventerete come bambini non entrerete nel Regno dei Cieli. La sua spiritualità è legata a questa tensione continua. Come una piccola luce, anelava alla luce vera”.
Verso una nuova vita. “Si mise in viaggio verso l’Oriente – racconta – visitò il Monte Athos e Konya, la città dei dervisci rotanti, lesse Gurdjieff, Tulku Urgyen Rinpoche, Gialal ad-Din Rumi e si nutrì di buddismo tibetano… Sorpreso profondamente per la scoperta di questa nuova vita – rivela Barbarino – diede una direzione alla sua esistenza verso uno stile rigoroso, ascetico, ma anche cordiale, scegliendo una terra d’approdo, la sua Sicilia, risiedendo nella casa di Milo ed eleggendola a centro di spiritualità e di ricerca”.
Ecco il senso della ricerca di Battiato. “La sua religiosità non è riconducibile ad una religione. Già Thomas Merton, monaco cistercense, aveva scritto che ‘se non si può affermare che al vertice, a livello trascendente o mistico, c’è una completa unità di tutte le religioni, che partono tutte da differenti posizioni dogmatiche per incontrarsi in questo vertice – si può dire che, anche laddove esistono differenze inconciliabili di dottrine e di formule di fede, possono esserci analogie e somiglianze nel campo dell’esperienza religiosa. Non è affatto una novità affermare – continua la citazione di T. Merton – che santi uomini come San Francesco e Sri Ramakrishna hanno raggiunto un grado di perfezione spirituale universalmente riconosciuto e rilevante per chiunque abbia a cuore la dimensione religiosa dell’esistenza. Le diversità culturali e dottrinali devono rimanere ma esse non invalidano l’effettiva qualità delle analogie esistenziali’”.
Il rapporto con la Chiesa e il Vangelo: “Franco Battiato – continua Barbarino – si muove dentro il Cristianesimo e ci rimane; ma è critico con alcune verità della religione cristiana ed è altrettanto critico con la Chiesa istituzionale. Intanto, il 24 maggio 1990, all’età di quarantacinque anni, riceve la Cresima dal Vescovo di Acireale, Mons. Giuseppe Malandrino. E resta abbagliato, anzi folgorato, dalla lettura dei testi mistici di San Giovanni della Croce e Santa Teresa d’Avila, basta pensare, a conferma, alla stretta amicizia che lo legava a Giuni Russo, convertitasi al Cattolicesimo e morta di cancro”.
Qual è la testimonianza spirituale del musicista etneo? “Alla fine – dice Barbarino – credo che Franco Battiato abbia percorso la sua strada con assoluta originalità e libertà. Il suo punto fermo e sorgivo è che l’uomo non può accontentarsi di vivere una vita mediocre e banale. Egli desiderava ardentemente un’altra vita, totalmente nuova. Egli sapeva di non appartenere ad alcuno establishment e come tale si ritirò a Milo, ma senza separarsi da niente e da nessuno, indicando autorevolmente di vivere la misura alta della vita e di tendere ad una comunione con tutti i cercatori di Dio, dell’Assoluto, con tutte le persone oneste a qualsiasi credo appartenessero”.
“La vita di Franco Battiato è al di là delle parole, al di là dei discorsi, al di là dei concetti – spiega ancora il sacerdote che opera a Linguaglossa – Tutto ciò che è in superficie è nulla e inconsistente, ciò che è in profondità è il Reale. Egli è convinto che bisogna riscoprire la nostra unità. Ciò che dobbiamo essere è ciò che siamo. Questa è la sua aspirazione più grande e la sua eredità consiste nel ricordare ad ognuno di noi che siamo immersi nell’era digitale e tecnologica, di ritrovare, senza stancarci, l’integrità della nostra interiorità perché siamo tutti esseri speciali. Nonostante il caos dei tempi attuali”.